LAOS
Periodo : dicembre 2012
Durata : 12 giorni
Tipologia : fai da te
ITINERARIO
BANGKOK – UBON RATCHATHANI – PAKSE – CHAMPASAK – DON KHONG – DON DET – LUANG PRABANG
Domenica, 16 dicembre BANGKOK
Arriviamo a BANGKOK con un volo Qatar via Doha. Con un taxi raggiungiamo l’ostello AT HUALAMPONG HOSTEL, situato proprio di fronte alla STAZIONE FERROVIARIA HUALAMPONG (Silom Nord). Per dormire a Bangkok segnalo un altro ostello funzionale e ben attrezzato, il LUB*D. Trovi i riferimenti negli Indirizzi in fondo al racconto.
Lunedi, 17 dicembre UBON RATCHATHANI
Alle cinque e mezza del mattino la bella stazione di HUALAMPONG è già attiva. Proprio da qui sono partita anni fa per raggiungere il confine cambogiano e ora sono diretta verso quello laotiano! Il treno BANGKOK-UBON RATCHATHANI parte alle 5.45, è vecchiotto ma ben mantenuto, viaggia a velocità moderata fermandosi in molte stazioni. Dentro al vagone assegnatoci fa freddo. Il capotreno fa un lungo annuncio con un megafono, forse tra le varie comunicazioni informa i passeggeri che nel prezzo è incluso il servizio ristoro. La hostess passa con un carrello prima servendo tè, caffè e un paio di dolci poi con il pranzo (riso sciapo, acqua, dessert). Arriviamo a UBON RATCHATHANI alle due e un quarto. Dentro la stazione ci sono vari tassisti pronti ad accattarsi i clienti. Noi scegliamo un tuc-tuc, per sfrecciare in mezzo allo scarso traffico risalendo il viale principale di questa città dal piacevole impatto, fino al SUNEE GRAND HOTEL dove alloggeremo per la notte. Il Sunee è un albergo enorme, ha 11 piani, una hall immensa, una bella piscina, la palestra, la Spa. Sotto c’è una Shopping Mall con vari ristoranti tra cui il giapponese Fuji Restaurant. Al momento del check-in viene consegnato un foglietto rosa valido per la colazione. La nostra camera twin è bella e spaziosa, i letti sono da una piazza e mezzo. Molliamo il bagaglio e andiamo alla stazione dei bus con un taxi collettivo (sawngthaew), un servizio eccezionale: con una tariffa fissa di pochi Bath sali e scendi dove vuoi, non solo alle fermate! I taxi collettivi percorrono il loro itinerario tutto il giorno a ripetizione e ce ne sono parecchi. Essendo praticamente degli enormi tuc-tuc sono aperti e quindi si respira, anche lo smog ma a Ubon è davvero relativo. Scendiamo alla Stazione dei Bus che è proprio davanti al BIG C, un grande centro commerciale. Qui apprendiamo che il biglietto per Pakse va acquistato il giorno stesso della partenza, la biglietteria apre alle otto, l’autobus parte alle 9.30. Dal nostro Hotel alla stazione dei bus ci vogliono dieci minuti, inclusa la breve attesa per il taxi collettivo. Ok, ora sappiamo come fare. Riprendiamo il sawngthaew con l’intenzione di andare in centro. Passando davanti ad un Museo dalla struttura imponente suoniamo il campanello del mezzo e scendiamo. A Ubon Ratchathani nessuno parla inglese, giusto quelli dell’albergo spiccicano qualche parola e con una pronuncia incomprensibile. Ci pare di capire che il Museo sia aperto solo la mattina, peccato. Siccome fa parecchio caldo ci rifugiamo nel vicino SARIN CAFE’ per rinfrescarci con un paio di smoothies e collegarci alla rete WiFi. Altro sawngthaew, altro tratto di strada, ma dove siamo? Alla vista di un locale dove fanno i massaggi scendiamo ma probabilmente sono massaggi di altro tipo.. da vicino realizziamo che il locale ha porte e finestre oscurate, anche l’interno è tutto buio e l’uomo che ci chiede cosa desideriamo ci consiglia di andare di fronte. Ok, lasciamo perdere, per andare sul sicuro sarà meglio usufruire della Spa dell’Hotel. Facciamo due passi. Notiamo che i negozi sono all’interno delle case, le persone vendono le proprie mercanzie nella stanza di casa che si affaccia sulla strada. Gli ingressi ai complessi monastici sono evidenziati da una porta elaborata e colorata.
Nel cortile di un tempio ci sono delle vecchie carrozze. Quando tramonta il sole siamo nel giardino pubblico. Nel mezzo c’è un enorme monumento dorato svettante con un obelisco. Nel parco c’è molta attività sportiva, chi fa jogging lungo il perimetro, chi gioca a calcio, chi a racchette, chi segue la lezione di aerobica proposta da quattro energiche ragazze microfonate ed organizzate con la musica. Le zanzare attaccano, d’altronde siamo sudate marce. Torniamo in hotel e chiediamo se è possibile fare un massaggio. Purtroppo è tutto prenotato fino alle otto. Allora prima si va a cena e poi alla Spa. Al FUJI RESTAURANT si mangia bene. La Spa del Sunee Grand Hotel è aperta dalle 10.00 del mattino fino alle 22.00 e si trova al quinto piano, lo stesso dove ci sono la bella piscina e la palestra. L’intero ambiente è molto curato. Scegliamo un massaggio aromatico che viene praticato con grande professionalità. Io mi addormento un paio di volte. Al termine del trattamento ci viene offerto un delicato tè. Siamo soddisfatte e al termine del viaggio questo massaggio verrà ricordato come il migliore della vacanza.
Martedi, 18 dicembre Thailandia > Laos – PAKSE – CHAMPASAK
Ricca colazione e check-out. Il THAI-LAOS INTERNATIONAL BUS (che da Bangkok parte dal Mo Chit Bus Terminal) collega UBON RATCHATHANI a PAKSE. Parte alle 9,30 ed impiega un’ora e tre quarti per arrivare al confine, tempo più che sufficiente per scendere lessate giacché, inaspettatamente, sul bus fa un gran caldo. Procedura al BORDER: Il posto di confine tra CHONG MEK (Thailandia) e VANG TAO (Laos) è aperto tutti i giorni dalle 6,00 del mattino fino alle 20,00. Un grande tabellone indica la tariffa del VISTO secondo la nazionalità del richiedente (si va da 30 USD per un cittadino del principato di Monaco a 42 USD per un cittadino canadese). Per gli italiani costa 35 USD (nel 2012, potrebbe essere aumentato). Il famoso dollaro in più si paga il sabato e la domenica dalle 6,00 alle 20,00 e tutti gli altri giorni dalle 16,00 alle 20,00. Col bus si scende davanti all’Ufficio Immigrazione Thailandese, si riempie un modulo con i dati personali e del passaporto, viene timbrato il passaporto in uscita, si percorrono circa 30 metri lungo un grigio sottopassaggio che porta al confine, si seguono i cartelli che indicano di percorrere 150 metri fino all’Ufficio Immigrazione Laotiano dove si riempie un altro modulo (con i soliti dati personali e del passaporto, motivo del viaggio, mezzo di trasporto, località di provenienza) che si consegna con il passaporto allo sportello 5, si attende, l’impiegato laotiano si affaccia per chiedere i dollari e una foto di piccolo formato (tipo francobollo), poi si passa allo sportello 6 (dietro l’angolo, a destra) dove viene rilasciato il passaporto col visto ed una parte del modulo spillato dietro pagamento di una Immigration Fee di 40 Bath. Per l’espletamento delle pratiche doganali impieghiamo mezz’ora in tutto. L’autobus aspetta poco più avanti. L’autista verifica che tutti i passeggeri siano saliti per ripartire. La campagna laotiana è uguale a quella thailandese, l’erba in questa stagione è arsa dal sole, ci sono zone acquitrinose, molte piante verdi, ogni tanto ci sono delle palme. Le case sono in prevalenza costruite in legno, su palafitte, alcune sono rese davvero graziose da piccole finestre elaborate.
Arrivate a PAKSE dobbiamo per prima cosa cambiare i nostri Euro in KIP poi prendere il sawngthaew per Champasak. Con un tuc-tuc ci facciamo portare in centro che è poco distante. Il tipo del tuc-tuc, che ci chiede dove siamo dirette, vorrebbe portarci a Champasak per l’irragionevole cifra di 500 Bath a testa e continua a ripetere che con lui partiamo subito. E’ chiaro che noi occidentali diamo l’impressione di essere impazienti e che ci ritiene generalmente sprovveduti. Beh, non noi! soprattutto se a proporci il servizio è un ladro (500 bath a testa è una cifra folle!) e pure bugiardo visto che dichiara che i mezzi per Champasak sono già partiti tutti. Che abbia origini indiane? Ma io mi sono documentata, so che dal Mercato i sawngthaew partono fino alle tre. Perciò tanti saluti! Proprio davanti a noi c’è una filiale BCEL, entriamo e prendiamo il numero: abbiamo il 74. Stanno servendo il 62 e sembrano rallentati al cubo. Non sembrano, sono. Ci vuole calma, e tempo soprattutto. In attesa del nostro turno compilo il modulo per il “Cash to Cash”. Il cambio è di 10.490 Kip per 1 Euro. Cambiando 200 Euro ci ritroviamo un malloppo di oltre 4 milioni di Kip. Ci dirigiamo verso il Mercato. Chiedere in inglese è totalmente inutile, qui non lo parla nessuno. L’unica parola che capiscono è la destinazione, CHAMPASAK!
Nel mezzo della piazza del Mercato ci sono i sawngthaew, ne sta partendo uno per Champasak proprio ora ma è talmente pieno che non sapremmo dove stare. Ne parte un altro dopo? Sì! Allora aspettiamo, sperando d’esserci capiti.. Il sole spacca, si suda al punto che non scappa neanche la pipì da ore. Si parte alle due passate. Da Pakse a Champasak ci vogliono 45 minuti e con il sawngthaew si spendono solo 20.000 Kip a testa ovvero 2 euro contro i 13 chiesti dal ladrone! CHAMPASAK è una piccola città o forse è più corretto dire un grande villaggio dall’atmosfera totalmente LAID-BACK, “ è un luogo pacifico e sonnolento, pochi edifici coloniali condividono lo spazio con le modeste case in legno tradizionali laotiane” (Lonely Planet LAOS, 6° edizione italiana). Alloggiamo all’INTHIRA HOTEL in una camera arredata con gusto, c’è solo il problema di dove appoggiare le nostre cose, lo spazio è limitato e non ci sono armadi. E’ la migliore sistemazione di Champasak, parecchie spanne sopra alle altre, sicuramente anche nel prezzo. Solo il nuovo SOUCHITRA Hotel sembra una valida alternativa; accanto c’è il vecchio complesso di bungalow al cui interno, nell’abbandono totale, pascolano i bufali. La strada principale è sterrata e costeggia il fiume. Orientamento guardando il fiume: a destra dell’Inthira Hotel c’è la Guesthouse Vongpaseud (sembra popolare, ha il ristorante affacciato sul fiume) a sinistra si susseguono il Souchitra Hotel, una bella villa coloniale risalente al 1926 (dev’essere un’abitazione privata), la Kham Phouy Guesthouse (una catapecchia), la Saythong Guesthouse & Restaurant, la Champasak Guesthouse (bellina ma non si capisce se è aperta), il Champa Restaurant (grande, affacciato sul fiume, ma sembra chiuso), il CHAMPASAK DISTRICT VISITOR INFORMATION CENTRE, il Khek Kham Restaurant, la Dok Champa Guesthouse (mah!), il Thavisab Hotel (orribile), la farmacia, la CHAMPASAK SPA, l’Anouxa Guesthouse. Spesso lungo la strada ci sono delle donne sedute ad un banchino, tengono una specie di registro, ma cos’è? Proviamo a chiedere ma non capiscono. Al VISITOR INFORMATION CENTRE il ragazzo, che parla un po’ d’inglese, possiede una grande capacità di distrarsi rendendoci difficile reperire informazioni e prenotare i servizi di cui abbiamo bisogno. In particolare si confonde quando viene sottoposto a quella che pare un’inquisizione da parte di una signora del posto, decisamente cafona, che ha visto che il ragazzo stava parlando con noi ma si intromette ugualmente. Il poveretto, che stava tentando di scrivere la ricevuta per un tuc-tuc per andare domani al Wat Phu, viene totalmente inebetito dalla mitragliata di parole della cafona e quindi impedito. Spazientita la guardo fissa negli occhi, lei si ferma giusto un secondo poi riattacca. Alla fine si leva di torno e riusciamo così a prenotare anche il trasferimento a Don Khong, non senza difficoltà comunque, perché è ardua impresa far capire al ragazzo, ormai ipnotizzato, che questo servizio ci serve per il giorno successivo alla visita del What Phu ed ottenere di conseguenza la ricevuta per il giorno corretto. Se alloggiate all’Inthira potete prenotare da loro questi servizi, il prezzo è lo stesso.
“La CHAMPASAK SPA www.champasak-spa.com è aperta dalle 10-12 e dalle 13-19. E’ un centro benessere situato in una tradizionale casa in legno in riva al fiume, servizio superbo, ambiente estremamente distensivo, offre tutti i tipi di massaggio a prezzi locali.” (Lonely Planet).
La Champasak Spa è un’oasi di benessere, l’ambiente è curato, le dipendenti parlano un po’ di inglese. Io scelgo il massaggio decontratturante alle erbe e la mia amica Cristina quello all’olio di cocco. Il mio si rivela efficace, per metà è un trattamento shiatsu poi vengono usati dei sacchetti di tela pieni di erbe che vengono scaldati a vapore e appoggiati su collo e schiena con effetto benefico (e duraturo! mi libero da un fastidioso dolore che avevo da mesi). I massaggi si concludono con una tisana al lemongrass servita assieme ad una banana tagliata a rondelle.
Fuori sta piovendo a scroscio. Appena smette facciamo qualche metro per vedere com’è la Anouxa Guesthouse e soprattutto il suo ristorante: ci convince poco, è pieno di cani… Ci incamminiamo verso “casa” ma un altro tremendo acquazzone ci costringe ad un nuovo rifugio, questa volta al Dok Champa. Anche il suo ristorante è poco invitante, le tovaglie sono tutte impataccate, ci sono solo due clienti ed una ragazzetta dall’aria estremamente indolente che li serve con una lentezza esasperante. Le chiediamo se possiamo mangiare ma resta indifferente, forse non ha capito. Da una stanza buia sbuca fuori la cuoca e forse anche padrona del Dok Champa: sapete chi è? La cafona dell’Information Centre! Purtroppo diluvia altrimenti gireremmo subito i tacchi. Costrette dalla situazione le chiediamo di poter mangiare, fa cenno di sì e se ne va. La ragazzetta non ci considera proprio, figuriamoci farci accomodare e prenderci l’ordinazione e più che restiamo più che troviamo ripugnante questo posto. Ad un certo punto la cafona, smessi i panni da cuoca, mette in moto lo scooter e se ne va proprio! mentre noi siamo lì impalate ad aspettare! La pioggia è leggermente diminuita? Bene! prendiamo subito il largo! Il ristorante dell’Inthira, accogliente, ordinato e pulito ci appare come un miraggio. Ci confortiamo con un bel piatto di noodles ed una crepe banana e cioccolato allietate dalla fantastica notizia che la mia nipotina che ancora non ha un anno ha cominciato a camminare! Evviva Giulia!
Mercoledi, 19 dicembre CHAMPASAK
Un buongiorno con alcune paroline in lingua lao da imparare:
– SABAIDEE, il saluto, vale mattina mezzogiorno e sera e si pronuncia sabaidii
– KOP CHAI, grazie, si pronuncia cop dtai
– KOP CHAI LAI LAI, molte grazie, si pronuncia cop dtai lai lai
– THAO DAI? quanto costa? si pronuncia tou rai, con la erre arrotolata.
Colazione all’Inthira con scrambled eggs & bacon, pancake con banane, miele e marmellata di tamarindo. Il tuc-tuc per andare al WAT PHU arriva puntuale. La distanza tra Champasak ed il Wat Phu si aggira sugli 8 km, fa troppo caldo per percorrerli in bici. La strada è asfaltata solo a tratti. In questi 8 km si attraversano due ponti di legno e si susseguono le tipiche case di legno, una Guesthouse (si chiama Simone), due scuole, un grande Buddha seduto tra gli alberi e delle strane cose bianche sottili dalla forma rotonda stese al sole a seccare. Ogni tanto passano dei trattori che hanno una struttura insolita: dal punto dove sta seduto l’autista partono due lunghe assi di legno che convergono sulle ruote anteriori molto vicine tra loro. Solitamente hanno un rimorchio attaccato. Il complesso del WAT PHU è molto grande. Si estende su tre livelli. Il complesso religioso Hindu, di epoca angkoriana, è dominato dal Phu Kao, una montagna sacra per la sua forma fallica. Vicino all’ingresso c’è il Museo dove fanno bella mostra di sé diversi reperti ben catalogati e con utili didascalie. Presso il Museo trovate i servizi igienici. Dopo aver visitato il Museo realizziamo che ad altri ragazzi hanno fatto pagare meno. Come mai? Forse nel loro biglietto non è compreso lo Shuttle, che peraltro non abbiamo chiesto. Evidentemente abbiamo la faccia da navetta.. Il nostro biglietto infatti è VIP: vale per l’intera giornata, consente l’uso dello shuttle, la connessione WiFi e l’ingresso gratuito ai gabinetti (comunque gratis). Francamente conviene risparmiare quindi fate attenzione. Visto che l’abbiamo pagato prendiamo lo Shuttle fino al secondo livello del complesso, dove ci sono due laghi artificiali (baray). Qui parte un lungo e ampio sentiero, delimitato da alti cippi di pietra scolpita, che conduce ad una terrazza dove ci sono le rovine in restauro. Il sole è già alto. Una faticosa gradinata porta all’ultimo livello. Qui mi accorgo di aver perso gli occhiali da sole. Inutile tornare sui miei passi, è come cercare un ago in un pagliaio. Al terzo livello si trovano il santuario, la pietra del coccodrillo e la pietra dell’elefante. C’è anche un opportuno e apprezzato punto vendita di bibite fresche. Arriviamo puntuali all’appuntamento con l’autista del tuc-tuc fissato per mezzogiorno. Pranziamo all’Inthira assaggiando il Laap, piatto nazionale di carne tritata con erbe, piccante. Per noi non è da strapparsi i capelli ma era giusto assaggiarlo. Poi credendo di aver ordinato della frutta ci arrivano due piatti di noodles di riso o qualcosa del genere con delle erbe che loro chiamano, per l’appunto, “papaya salad”. A loro discolpa ci mostrano il menù con la figura della loro papaya salad. Ok, nessun problema, rispondiamo, l’errore è nostro. Li paghiamo lo stesso rimandando indietro i piatti, ora proprio non ce la facciamo a mangiarli, volevamo della frutta… Sono così carini che ci servono delle banane senza mettercele in conto.
Noleggiamo le bici per andare a fare un giro. Io vorrei sapere cos’è la roba bianca stesa a seccare ma non ricordo dove l’abbiamo vista di preciso, comunque sulla strada che porta al Wat Phu. Cristina è allenata (fa spinning in palestra), io zero. In un gesto di grande amicizia mi cede la sua bici che ha un sellino spappolato ma non distruttivo come quello che ho io. Resta il problema del sole e della polvere negli occhi non più protetti dagli occhiali smarriti. Pedala pedala, ma dove sono ‘sti cosi? Forse li hanno tolti, erano già secchi.. Torniamo indietro e ci fermiamo in una scuola, i bimbi emozionati sorridono e salutano educati: SADAIDEE. Questi bimbi non sono ancora stati snaturati dalla presenza dei turisti, non chiedono, sono semplicemente curiosi e contenti di scambiare un saluto. Arriviamo all’Inthira alle cinque, una doccia veloce e via di nuovo alla Champasak Spa! Con la alla bici è un attimo tornare all’Inthira. Ceniamo con noodles ed un notevole creme caramel.
Giovedi, 20 dicembre DON KHONG
Alle 7.45 arriva il tuc-tuc per il molo. Saliamo sopra una longtail con altre otto persone dirette come noi verso sud. La traversata del Mekong dura giusto 5 minuti. Sostiamo al crocevia di due strade in attesa del bus per HAT XIAI, da lì poi ci imbarcheremo per DON KHONG. Una signora parecchio agitata domanda a tutti se è qui che passa il bus. E che ne sappiamo! si spera! Mi compro un cappello di paglia per proteggere gli occhi dal sole, di un paio d’occhiali nonc’è neanche l’ombra. Un bimbo dispettoso “ci intrattiene” tirandoci addosso una serie di piccoli frutti tondi poi passa direttamente ai sassi, e con un ghigno! avrà sì e no quattro anni. La madre sta facendo colazione con la sua zuppa e non bada minimamente a ciò che fa suo figlio e alle gentili esortazioni collettive di smettere. La sassaiola perdura con una raccolta di “munizioni” sempre più grosse fino a quando una signora risponde al fuoco. Guarda caso la madre si sveglia subito ed intima al figlio di piantarla! Il bus arriva alle 9.40. E’ un pullman GT, probabilmente proveniente da Pakse. Sopra c’è l’aria condizionata. Alle 10.20 fa una sosta in un’area di servizio attrezzata di bagni e minishop.
Arriviamo al molo di Hat Xiai dopo mezzogiorno. Per molo intendasi sempre un punto sulla costa dove s’appoggia la barca, non c’è assolutamente niente che lo definisca tale. In questo punto però c’è una Guesthouse ed un baracchino con un cartello con le destinazioni. Manca proprio Don Khong, ma è il molo giusto? Ci viene assicurato di sì, l’isola è di fronte a noi. Da qui però si va anche alle 4000 Isole (una dal nome assai simile, Don Khon) e in altre destinazioni. Altri 5 minuti di barca e si arriva sull’isola di DON KHONG, precisamente a MUANG KHONG.
Chiediamo dov’è l’HOTEL RATTANASING e ci viene detto che è molto lontano, 3 km verso sud. Dal sito sembrava essere a Muang Khong, invece è a BAN HUAY.. C’è un mezzo per andarci? No, forse una barca, ma non si sa quando. Perfetto. Sconfortate ci incamminiamo sotto il sole. Dopo solo mezzo km, già distrutte dal caldo e dallo zaino sulle spalle, ci fermiamo a comprare dell’acqua fresca e chiediamo nuovamente. Il gentile ragazzo del negozio ci informa che il tipo che lavora alla società di costruzione del ponte dopo pranzo va in là. Andiamo subito a chiedere se ci può portare! Mosso a compassione lascia perdere il pranzo e ci da uno strappo per i ben oltre 3 km! In mezzo al nulla e lontano da tutto l’HOTEL RATTANASING si staglia in tutta la sua grandiosa mole. Alla reception Mr Somxay è pronto ad accoglierci. La camera è meno bella rispetto alla facciata dell’Hotel, direi piuttosto anonima. Deluse, facciamo buon viso e prendiamo le bici (due catorci) per tornare a Muang Khong con l’intenzione di cambiare alloggio. Dopo il ponte di legno, subito sulla sinistra c’è la RATANA GUESTHOUSE. Io andrei a vedere anche più avanti ma Cristina vuole cominciare da questo che rispetto all’altro le sembra oro e costa tre volte meno. Non ne vediamo altri? Dài, questo è semplice ma va bene, dobbiamo solo dormirci. Per me è ok. Ora c’è solo un problema: rientrare al Rattanasing, disdire nel migliore dei modi, tornare alla Ratana GH con i bagagli. Chiediamo al Ratana se hanno un pickup. Nessun problema. La ragazza chiede al vicino del negozio accanto. Per 80.000 Kip (un furto) carica noi e le bici, ci porta al Rattanasing e ci aspetta per riportarci indietro. Mr Somxay è sparito. Come possiamo fare? Gli scrivo un lungo cortese biglietto dove spiego le motivazioni della nostra subitanea partenza: il suo Hotel è troppo lontano, anche con le bici. Oltretutto la sera non c’è illuminazione lungo la strada, saremmo costrette all’isolamento. Al biglietto accludo 20.000 Kip per il noleggio giornaliero delle bici, anche se utilizzate per poco. L’autista chiede se è tutto a posto. Gli diciamo la verità, non abbiamo trovato il proprietario ma gli abbiamo lasciato un biglietto. Lui allora lo fa cercare da quelli del Ristorante. Mr Somxay arriva in pochi minuti col motorino. Ha trovato il messaggio e chiede dove alloggeremo. Non capiamo, sinceramente, se ci sta proponendo di restare rinunciando alla differenza di costo della camera o se sta, anche giustamente, calcolando il mancato guadagno chiedendoci comunque il pagamento. In definitiva abbiamo solo appoggiato gli zaini in camera, non l’abbiamo minimamente utilizzata, rispondo. Rassegnato acconsente garbatamente. Noi siamo realmente dispiaciute, eravamo così contente della nostra prenotazione! Il gentile Mr Somxay ci aveva fatto anche lo sconto! Siamo altresì colpite dalla cordialità e dalla comprensione di quest’uomo, dettata dal semplice buon senso. Ecco perché mantengo la promessa di raccomandare comunque il suo Hotel. Se avete bisogno di una struttura grande, magari per un gruppo numeroso con mezzo proprio, l’Hotel Rattanasing è vicino a quello che presto sarà il nuovo punto di snodo principale dell’isola, ovvero il grande ponte che collegherà l’isola alla terraferma. Attualmente sul lato opposto della strada c’è un ristorante affacciato sul fiume. In futuro l’area si popolerà sicuramente di ulteriori facilità.
Ritorniamo a Muang Khong col pickup e prendiamo possesso della stanza alla RATANA GUESTHOUSE. Ad una più attenta osservazione anche questa non è il massimo, la polvere vi regna sovrana. Se avete letto gli altri miei diari di viaggio sapete che non ho problemi a mangiare e dormire in posti sgarrupati, e lo stesso vale per la mia amica, ma quando i costi lo consentono perché non concedersi qualcosa di meglio? Poiché tra ninnoli e nannoli sono le due passate, per compensare la piccola disavventura ed il livello basic della nuova sistemazione, scegliamo di pranzare al ristorante del Pon Arena Hotel che è come tutti gli altri affacciato sul Mekong, ma è grande e ben arredato. Ci informano che servono solo colazione e cena ma, gentili, ci invitano ugualmente ad accomodarci. Sul menù c’è anche poca scelta… l’albergo però è bello… No eh?! Scappare due volte nello stesso giorno è troppo!
Prenotiamo il tour per SI PHAN DON (le famose 4000 Isole) e anche il rientro su Pakse col bus presso il Ristorante della DONE KHONG GUESTHOUSE, quello sotto al quale abbiamo attraccato con la barca al nostro arrivo. Libere da altri pensieri decidiamo di noleggiare un paio di bici per farci un giretto. Proprio accanto al ponte c’è una signora di una certa età che le affitta. Non è la sola ad affittarle e le sue bici fanno davvero piangere, ma riteniamo che sia la sua unica fonte di sostentamento perciò le prendiamo da lei. In Laos hanno queste strane bici, che mentre pedali ti fanno salire le ginocchia in bocca. Siccome sono le tre e alle sei fa buio contrattiamo per corrisponderle un’equa metà del prezzo. Partiamo credendo di dirigerci verso ovest sulla tratta più corta che taglia l’isola a metà congiungendo Muang Khong con Muang Sean. Solo oltrepassato Ban Dong realizziamo di essere da tutt’altra parte per andare al Wat Phu Khao Kaew (si pronuncia Vat Pu Cao Cheo). Il ritorno non finisce più. La signora delle bici è contenta di veder rientrare i suoi mezzi. Sorride, con i denti e le gengive rosso scuro macchiate dal betel. Quasi tutte le donne dell’isola li sfoggiano, fanno eccezione solo le ragazze giovani.
Ceniamo al ristorante del RATANA, buono ed economico. Andiamo a dormire nel nostro nuovo alloggio, a mio avviso modesto ma funzionale. Per Cristina il bagno è al limite del deprimente e non solo il bagno. Ho capito… domani cambiamo di nuovo… d’altronde siamo in vacanza, notte…
Venerdi, 21 dicembre DON KHONG
Don Khong è lunga 18 e larga 8 km. Solo l’idea di rimontare in bici mi fa star male, perché non girarla in scooter? Ma cominciamo dall’inizio di questa giornata con l’uscita dalla Guesthouse con gli zaini in spalla e lo sbigottimento della ragazza che sorridendo ci chiede se partiamo. Farfugliamo qualcosa, che non c’è niente che non va a parte la pulizia molto sommaria. Lei non insiste e suo malgrado annuisce con quella mitezza che caratterizza questo popolo. La colazione al PON ARENA HOTEL costa un botto, buona eh.. falla essere anche cattiva! Pane tostato, burro marmellata, succo caffè frutta. Se vuoi altro lo paghi extra. Da domani sarà inclusa nel prezzo della camera ma di fatto è cara. Mr PON insiste per farci alloggiare nell’ala di lusso affacciata sul Mekong, ma 85 USD sono davvero troppi! 55 USD in due della camera standard invece riusciamo a permetterceli. La camera peraltro è simile a quella di lusso, forse solo leggermente più piccola.
Ci balocchiamo un po’, felici della nostra nuova stanza e del suo bagno, rischiando di non trovare più un motorino disponibile. Lo troviamo a 60.000 Kip senza benzina (i prezzi correnti sono 80.000 Kip con un po’ di carburante). Per noleggiare uno scooter non occorre mostrare la patente, non serve il casco, non serve un documento, non esiste l’assicurazione, paghi e te lo danno, come “in prestito”. Cristina va a fare un giro di prova perché non è abituata alle marce senza frizione. Torna tranquilla, già padrona del mezzo e col pieno di benzina fatto (39.000 Kip). Con lo scooter è tutta un’altra cosa! zero fatica e aria fresca, uno spettacolo! Vicino a Muang Khong c’è il il Wat Jom Thong, il tempio più antico dell’isola perciò cominciamo da lì, a nostro avviso però non è trascendentale, soprattutto notiamo una certa trascuratezza. All’uscita dal paese stavolta imbocchiamo la direzione giusta per MUANG SEAN. Cristina avvista come un falco un espositore di occhiali da sole al mercato, evviva! Compro un fantastico paio di RayBan tarocchi, dalla montatura rossa, per ben 10.000 Kip (un euro). Con lo scooter ci sentiamo padrone dell’isola. La campagna di Don Khong dev’essere meravigliosa nel periodo in cui le risaie e le dolci colline sono tinte di verde brillante. Per strada incrociamo bufali, vacche, cani e galline. Sfilano i piccoli villaggi. Le caratteristiche case di legno e la loro eterna confusione si alternano a case in muratura con l’ingresso arricchito da balaustre di colonne in ceramica vetrificata dai colori assurdi. I bambini corrono in strada salutando. Noi siamo FALANG. Giriamo verso nord alla ricerca del Wat Phu Khao Kaew dove pare si trovi un Budhha monumentale. Alt! Ho visto una scuola! Torniamo indietro, parcheggiamo lo scooter nel cortile ed entriamo in aula. I bambini sono in classe da soli, ci osservano incuriositi restando seduti composti. Abbiamo con noi le figurine adesive delle ultime promozioni di Coop ed Esselunga e le tiriamo fuori. Ci rendiamo conto che i bambini non hanno la minima idea di cosa siano. Apriamo i pacchettini e mostrandogliele le distribuiamo. Ricevendole, ogni bimbo si alza, congiunge le mani e mormora KOP CHAI. Sono davvero amorevoli, così educati. Sopraggiunge un uomo, ci pare un guardiano non un insegnante, valuta la situazione poi ringrazia anche lui. Più avanti c’è un WAT, entriamo nel cortile, poi nel tempio dove alcune ragazze sono sedute per terra. Ci sediamo con loro, piegando le gambe di lato, attente a tenere i piedi rivolti all’indietro. Le ragazze sono affascinate dalla nostra presenza, intuiamo che vorrebbero sapere chi siamo, se siamo amiche e quant’altro. Il frasario presente sulla guida non è di grande aiuto però riusciamo a dir loro che siamo felici di fare la loro conoscenza e con i numeri ci riferiamo le rispettive età. Le ragazze del tempio hanno mediamente trent’anni. Probabilmente hanno il compito di portare il cibo ai monaci. I bonzi del monastero hanno giust’appunto finito di mangiare e riportano il vassoio alle donne che ci offrono il cibo avanzato. Cristina è scettica ma non possiamo rifiutare. Mi servo un po’ di noodles appiccicosi cospargendoli con una sbrodaglia piccantissima contenuta in un vaso. Quando tiro fuori dallo zainetto un paio di bacchette le ragazze ridono. Controllano ogni mia espressione sperando che il cibo sia di mio gusto, faccio segno di sì poi passo le bacchette a Cristina che assaggia lo sticky rice contenuto nei cestini di paglia. Il riso è talmente colloso che con le bacchette a stento riesce a prenderlo, loro infatti usano le mani. Va insaporito con una strana salsa densa. Le ragazze sono soddisfatte, noi anche per il piacevole incontro. Ci salutiamo e ripartiamo. E adesso vediamo di trovare il WAT PHU KHAO KAEW! Pare che sia di poco più indietro. Per scorgere questo Wat ci vuole un buon colpo d’occhio giacché dalla strada si intravede appena qualcosa di dorato: il grande Buddha sdraiato, nuovo di pacca. Come ogni Wat dell’isola, il suo nucleo iniziale è in restauro ed il resto è in costruzione. A questo punto possiamo proseguire nuovamente verso nord fino alla punta estrema dove si trova una villa molto grande. Da un’ampia vetrata si intravede una veranda chiusa con un salottino ed una sala da pranzo con un tavolo ovale. Annesse alla costruzione principale ci sono delle foresterie. Un’importante fontana non funzionante risalta in mezzo al giardino delimitato da lampioni a forma di palma. Sembra un luogo di rappresentanza.
Lungo la costa orientale, ad un certo punto seguiamo una ragazza che prende un viottolo che conduce al fiume raggiungendo un villaggio dalla gente ospitale e poco avvezza alle visite. Distribuiamo le figurine ai bambini che sono felicissimi dello strano dono e diamo i gadget della Qatar ai loro familiari (spazzolini da denti e calzini). I bambini desiderano mostrarci qualcosa. Ci conducono lungo il sentiero che costeggia il fiume fino al punto dove è attraccato il battello della MEKONG ISLANDS TOUR www.cruisemekong.com. Dev’essere bello trascorrere qualche giorno in crociera su questo battello di legno, dall’aspetto retrò (forse lo è davvero) in un’atmosfera alla Agatha Christie. Ritroviamo la via (ed il punto faticosamente raggiunto in bici ieri) e proseguiamo divertendoci con lo scooter fino a Muang Khong dove sostiamo per pranzare al ristorante della Ratana GH con una fruit salad in cui la papaya è papaya, e di un intenso arancione. Verso le due e mezza ripartiamo verso sud oltrepassando il caro Rattanasing Hotel. E’ in costruzione il grande ponte che collegherà l’isola alla costa. Sia di qua che di là sono già stati eretti i piloni d’appoggio, nel tratto del fiume invece mancano ancora. Sappiamo che nella zona sud ci sono due bei Wat ma per ragioni di tempo ne visitiamo uno solo, il primo, che si rivela il tempio più bello visto sull’isola e che sembra più antico di quello declamato tale. Un uomo sta creando gli ornamenti per il muro di cinta del monastero colando il cemento dentro appositi stampi. I calchi messi a seccare per terra vengono successivamente accorpati al muro e poi dorati. Riconsegniamo il motorino con almeno 10.000 Kip di benzina ancora nel serbatoio. Oggi ci siamo anche abbronzate, ma a strisce! Abbiamo prenotato un massaggio tramite il Pon Arena Hotel grazie al volantino affisso in camera ma il servizio offerto non è assolutamente all’altezza dell’Hotel, anzi lo dequalifica. Il massaggio viene effettuato in una casa sita di fronte alla scuola. L’ambiente è squallido. Dal grande portone si entra direttamente in un’unica stanza, praticamente vuota con tre materassi sudici appoggiati per terra sul pavimento ricoperto di linoleum. La “spa” fornisce un paio di orribili shorts ed un triste asciugamano (sicuramente sempre i soliti usati a turno dai vari clienti). Materassi e cuscini sono probabilmente quelli che utilizzano gli abitanti della casa per dormire abitualmente. A fare il massaggio c’è una ragazzina che conosce i vari passaggi ma li pratica all’acqua di rose, cioè sommariamente, e senza olii o creme bensì utilizzando una leggera ditata di balsamo di tigre, una cosa ridicola. Sconsiglio vivamente di buttare via i soldi e riassumendo la sistemazione al PON ARENA HOTEL è valida per l’ubicazione e la stanza, per il proprietario che parla fluentemente inglese e francese, pure qualche parola di italiano. Ma il ristorante dal menù poco nutrito è caro ammazzato ed il servizio del massaggio farebbe meglio a non proporlo. Cito le vicine Guesthouse, più semplici ed economiche, in rassegna dal Pon Arena Hotel verso sud: SAYKHAM’S Guesthouse, SOUKSABAY Guesthouse, PON’S RIVERSIDE Guesthouse, PONE RIVER, RATANA RIVERSIDE Guesthouse, DONE KHONG Guesthouse. Più o meno sembrano simili, ma la SOUKSABAY in fondo ad un vicolo è apparentemente la migliore. Passato il ponte di legno, verso sud, dopo il grande Wat, si trovano invece strutture di livello superiore: VILLA MUANG KHONG, MEKONG INN HOTEL, MALI GUESTHOUSE. Sul lato opposto della strada c’è però la V.MALA Guesthouse Restaurant, Massage, rent bike and moto, un’autentica casa di legno con spazi e bagni in comune, ben tenuta. Le sistemazioni migliori di Don Khong sono garantite dal SENESOTHXEUNE HOTEL www.ssxhotel.com che dispone di belle camere (le ho viste) a partire da 50 USD e dalla vicina MAISON COLONIALE, più economica ma altrettanto charmante. Sono entrambe affacciate sul fiume e a due passi dal “centro” di Muang Khong.
Per cambiare ceniamo al ristorante della SOUKSABAY Guesthouse, senz’altro migliore del ristorante del Ratana.
Sabato, 22 dicembre DON DET
Alle 8.30 partiamo per SI PHAN DON (4000 ISOLE) dirette più precisamente a DON DET. Il Mekong è un bellissimo fiume e la navigazione in longtail è estremamente piacevole. Attracchiamo a DON DET alle 10.00, la barca tornerà a prenderci alle 14.30, quindi abbiamo solo quattro ore di tempo per esplorarla. Chi fa l’escursione combinata Don Det + Don Khon cosa vede nello stesso tempo? Per vedere Don Khon si paga pure la tassa di 20.000 Kip al giorno!
DON DET è movimentata, costruita e hippy. Bar, ristoranti e negozi si alternano agli alloggi. La Bakery citata sulla guida non esiste più, diversi negozi sono sfasciati o trasandati. Lo sguardo degli abitanti è riprovevole a prescindere, ti guardano come male necessario anche se non sei scostumata, fumata o ubriaca. Il loro atteggiamento è distaccato, indifferente alla comunicazione e all’interazione, a meno che non vi sia un interesse commerciale. Camminiamo per un bel tratto lungo un sentiero che costeggia il lato est dell’isola dove si susseguono le numerose Guesthouse. Sono molto popolari le cabine affacciate sul fiume costruite su palafitte con bagno in comune. Allegri giovani turisti fanno su e giù in bicicletta. Alcuni locali sono curati e accoglienti, molto hippy, arredati con amache, materassi e cuscini per rilassarsi. Pranziamo al CRAZY GECKO (di gestione tedesca). Io prendo un PUMPKIN CURRY & VEGETABLES di una bontà esagerata. Provo a descriverne gli ingredienti: zucca e carote lessate morbidissime e saporite, verza a pezzetti, latte di cocco, curry powder, erba cipollina. L’acqua in bottiglia fa schifo, meglio optare per la birra. Notiamo che in giro ci sono diversi viaggiatori uomini soli. Il tempo passa velocemente. Alle 14.30 ci imbarchiamo per tornare a Don Khong che tutto sommato preferiamo, ancora autentica nella sua assoluta sconcertante semplicità. Il Mekong è cosparso di pescatori in piena attività con le loro reti piombate. Facciamo una camminata lungo il fiume verso sud tirando fino all’ora di cena. Torniamo al ristorantino del SOUKSABAY che si riconferma molto valido.
Domenica, 23 dicembre DON KHONG – PAKSE
Al molo, convinte di riprendere la barca, passa un minibus arrocchettato, già piuttosto pieno, che va al molo vicino al mitico Rattanasing Hotel. Il minibus viene traghettato su una piattaforma mobile e con esso proseguiamo direttamente fino a PAKSE. Ci vogliono quattro ore. Il punto di arrivo è al DAO HEUANG Market. Da qui prendiamo un tuc-tuc collettivo che porta ogni passeggero alla propria destinazione. La città è deserta, quasi fantasma, uno strano vento alza turbini di polvere rendendola apocalittica. Dal tuc-tuc scendiamo per ultime. Abbiamo prenotato una semplice eco-room al PAKSE HOTEL. L’ambiente è pulito, il servizio pronto ed efficiente, il ristorante offre un’ottima cucina (lo scopriremo in serata), c’è un angolo dei souvenir (tessili e legno), è possibile acquistare l’ottimo miele laotiano (non troppo dolce), l’whisky di riso, il caffè proveniente dall’Altopiano di Bolaven. Sul tetto c’è un’ampia terrazza con piante, poltrone, sdraio, tavoli, gazebo e bar: un oasi sulla città. Si vede che dietro tutto questo c’è la mano di un italiano, precisamente di Roberto. Vorrei riconfermare il volo della LAO AIRLINES e ricontrollare l’orario ma i vicini uffici della compagnia sono chiusi, è domenica! Allora con un tuc-tuc facciamo un salto all’aeroporto che dista solo 3 km. Pranziamo nello shopping centre aperto nei pressi dell’albergo con una zuppa di noodles, germogli di soia, pezzetti di carne, due palle bianchicce forse di tofu, pezzi di cavolo ed erba cipollina. Facciamo due passi per la città scoprendo MR TEE ANTIQUITY SHOP dove sono venduti tutti i tipi di caffè. Se fosse meno decadente Pakse sarebbe anche carina, è in una bella posizione con le montagne sullo sfondo ed i fiumi Mekong e Don che le girano attorno abbracciandosi. Oggi è praticamente tutto chiuso tranne le sale per i massaggi, ci tocca approfittarne per ammazzare il tempo! Il DOK CHAMPA MASSAGE, orario 9-22, è proprio di fronte al Pakse Hotel! Ceniamo in Hotel visto che Lonely Planet segnala il suo ristorante (PANORAMA) come uno dei migliori della città. Cristina prende un piatto di noodles eccellenti ed io un ottimo riso, servito dentro un ananas, delicato e ben mantecato. Dormiamo senza i rumori che hanno contraddistinto buona parte delle nostre notti a Don Khong (canto di galli e abbaiare di cani).
Lunedi, 24 dicembre PAKSE – LUANG PRABANG
Grandiosa colazione a buffet in Hotel. C’è di tutto e di qualità. Ottimo il pudding di riso al caramello, lo yogurt, la frutta, pancake e miele. Interessante anche l’angolo del salato. Finalmente conosciamo Roberto, un gentile archeologo bolognese venuto qua qualche anno fa per un progetto, poi è rimasto. Per andare al TALAT DAO HEUNG (Mercato Nuovo) ci suggerisce di costeggiare il fiume fino al ponte laotiano-giapponese, da lì poi basta girare a sinistra e c’è il mercato. Così almeno facciamo una piacevole passeggiata. Lungo il fiume ci sono vari ristorantini. Il Mercato di Pakse è immenso, la vasta zona alimentare è variopinta e fremente. Particolarmente nauseabonde, solo a vederle, sono le enormi bigonce di plastica contenenti un sugo di carne che sembra melma. Sarà senz’altro quella che abbiamo mangiato ieri a pranzo… Al mercato trovo l’amaca richiesta da mia sorella. In lingua lao amaca si dice Uuuuu, ma per farmi capire l’ho dovuta disegnare. Costa circa 2,50 euro e c’è di vari colori, io l’ho presa blu elettrico. Per strada compriamo delle specie di nuvole di drago da una signora che le porta dentro ad un paio di ceste agganciate ad un bastone. Poi andiamo al tempio cinese, visitiamo un Wat ed infine torniamo all’Hotel. Cristina è andata a farsi un massaggio, io invece sono sulla terrazza del tetto dove tira un bel venticello. Sotto al gazebo, al riparo dal sole, aggiorno il diario. Cristina ritorna alle due, tardi per mangiare in Hotel. Saldiamo la camera, salutiamo Roberto, pranziamo fugacemente al ristorantino all’angolo della strada poi con uno spettacolare trabiccolo agganciato ad una vecchia Suzuki ci rechiamo in aeroporto. Da Pakse partono solo due aerei nel pomeriggio, uno per Vientiane e l’altro per Luang Prabang. Il nostro volo LAO AIRLINES atterra, perfettamente in orario LUANG PRABANG. Fa freddo.
Il servizio taxi è effettuato esclusivamente da minivan. Abbiamo prenotato le prime due notti a VILLA CHITDARA dove, purtroppo, non avevano più posto per la terza notte, quindi poi dovremo trasferirci alla VILLA SENESOUK GUESTHOUSE, molto popolare tra i viaggiatori ma di livello inferiore. L’autista chiede se alloggiamo a Villa Chitdara 1 o 2. Non lo sappiamo! Gli mostro la cartina scaricata dal sito e lui capisce. E’ la 2. Luang Prabang è completamente diversa dal resto del Laos che abbiamo visto fin’ora. E’ una bella città piena di locali, ristoranti e negozi ben tenuti. VILLA CHITDARA ci accoglie con un little problem, non c’è la camera. I due ragazzetti della reception sono impanicati, chiamano la padrona che sopraggiunge in un baleno profondendosi in scuse (parla un perfetto francese). Praticamente i due storditi hanno dato via la nostra stanza per la notte ma, sempre scusandos. Scusandosi ripetutamente ci assicura che troverà per noi una soluzione chiedendo ad una struttura di pari livello di ospitarci, poi domani torneremo al Chitdara. Siamo stanche e non vogliamo fare le antipatiche, la signora è effettivamente costernata ed un errore può capitare a tutti ma per noi questo inconveniente significa fare e disfare ogni giorno i bagagli perché ogni notte dormiremo in un posto diverso! La signora ci porta alla ALOUNSAVATH GUESTHOUSE, pulita, affacciata sul Mekong. Pernottamento e colazione costano 40 USD, risparmiamo pure, ma il disagio rimane. Segnalo invece la SAYO GUESTHOUSE che mi colpisce in quanto antica dimora coloniale.
E’ buio e ancora non ci orientiamo, basterebbe salire di due strade per trovare una sfilza di ristoranti ed il famoso night market, ma per non allontanarci – concetto inappropriato per la piccola deliziosa Luang Prabang – restiamo nei paraggi. I ristoranti più appetibili però sono tutti al completo. Ne cito un paio: BIG TREE CAFE AND GALLERY, www.bigtreecafe.com, parecchio promettente dal profumo delle pietanze (la padrona per scusarsi di non poterci far accomodare ci regala un cioccolatino!) ed il rinomato L’ELEPHANT, RESTAURANT FRANCAIS, www.elephant-restau.com. In un altro posto ci dicono di aspettare giusto un quarto d’ora ma, siccome fa freddo e nessuno ci considera veniamo via. Finiamo al ?? il nome non lo sapremo mai, un posto semplice e carino proprio sul fiume, con tavoli bassi e cuscini adagiati su tappeti. I noodles cucinati sono ottimi ma il distratto cuoco-cameriere porta un solo piatto, e l’altro? “Ne avete ordinato solo uno”. E l’altra che fa, sta a guardare secondo te? Non rispondiamo così ma va da sé, scappa ai fornelli e cucinarne un altro piatto. Facciamo due passi fino agli affascinanti hotel di lusso THE BELLE RIVE, LE CALAO INN, MEKONG CHARM GUESTHOUSE, XIENG THONG PALACE e un altro che non ricordo che comincia con la B nei pressi del WAT XIENG THONG, il monastero più famoso della città, suggestivo nel silenzio della notte. Due leoni bianchi stanno a guardia della scalinata d’accesso al tempio e altri due al di là della strada vegliano sulle scale che portano al fiume. Ci siamo solo noi, i vetri di cui sono rivestite molte superfici luccicano, è un momento magico.
Martedi, 25 dicembre LUANG PRABANG
Buon Natale a Luang Prabang! Facciamo colazione al fresco, sul fiume, poi avvisiamo il Chitdara affinché vengano a prenderci i bagagli. La gentilissima padrona di VILLA CHITDARA, nel ristorante all’aperto immerso nel giardino di palme sul retro della casa, ci offre il caffè, un buon caffè, scusandosi ancora per quanto accaduto. La camera, al piano superiore della villa, è calda, dotata di ogni comfort, pulita e profumata. Il pavimento ha un magnifico parquet a listoni grandi, non le consuete orribili mattonelle trovate ovunque. La camera twin costa 55 USD. Avevamo scelto bene, vorremmo strangolare i due tonti. Porto subito i vestiti alla lavanderia che è proprio di fronte. Costa solo 10.000 Kip al kilo e saranno pronti per le cinque di stasera, una meraviglia. Possiamo dedicarci alla visita della città e dei suoi numerosi WAT, davvero un’infinità e tutti ben tenuti. Il più particolare è senza dubbio il tempio rosa WAT XIENG THONG per visitare il quale si paga un ingresso di 20.000 Kip. Anche a Luang Prabang i templi sono soggetti a restauro. Le pareti del Wat Xieng Thong vengono decorate con la tecnica stencil. Un enorme padiglione conserva al suo interno un gigantesco carro dorato, quello che il Re portava in processione, statue del Budhha ed altri cimeli antichi e di pregio. Il WAT SIPHOUTTHABAT THIPPHARAM è immerso in una vasta area verde, attraversata da scalinate che culminano al PHU SI dal quale il panorama è a 360 gradi. Appena esce il sole fa caldo. La via principale disseminata di locali, negozi di souvenir, agenzie di viaggio che organizzano tour di tutti i tipi (navigazione sul fiume, visita alle grotte, ride su elefanti) è attiva ma mai caotica. Di là dal ponte di ferro invece ci sono gli agglomerati extraurbani, quelli dove vive la gente e dove tutto brulica. E’ bello girovagare spensierate, visitare i templi, osservare le stupende ville coloniali, curiosare nei negozi, oziare da qualche parte. A Luang Prabang tutto è rilassato, ovunque è pulito, ci sono i cani ma in giro non si vede neanche una cacca, e soprattutto ognuno si fa gli affari suoi. Alle tre però la fame si fa sentire. Pranziamo in una panetteria, LE BANNETON, CAFE’ BOULANGEIRE, di fronte al WAT SOP. Prendo una baguette con un paté di cinghiale casereccio, Cristina un toast farcito. Anche le quiches hanno un aspetto assai interessante. Della squisita insalatina di contorno ne mangerei un intero orto. Il caffè invece non è un granché. Andiamo a vedere il PONTE DI BAMBOO che viene eretto stagionalmente sul fiume NAMKHAM. E’ un ponte pedonale e per attraversarlo è corretto pagare alla famiglia che l’ha costruito l’onesto prezzo di 5.000 Kip. Attraversarlo fa un certo effetto, e davvero traballante, camminando sembra di rimbalzare. Di là dal fiume c’è la strada trafficata dai motorini, case e negozi. Cerchiamo ma non troviamo il ristorante DYEN SABAI, non perché abbiamo fame, per vederlo! Il DHAMMADA, citato sulla guida come miglior centro massaggi ci convince poco ed il completissimo BELAIR RESORT, che chissà cosa c’eravamo immaginate, è sicuramente meno chic dei veri hotel lussuosi presenti in città. Visitiamo ancora diversi Wat, tra i tanti ricordo il WAT SENSOUKARAM per le sue facciate rosse riccamente decorate con lamine d’oro. Ora però dedichiamoci un po’ ad una missione speciale: la ricerca dei souvenir! La maggiore concentrazione è sicuramente al NIGHT MARKET che ad una certa ora occupa una bella fetta della strada principale. Mentre giriamo per negozi buttiamo un occhio ai centri massaggio ma ci sembrano uno più scadente dell’altro. Alle sei del pomeriggio siamo letteralmente ubriache. Ci infiliamo nel più promettente dei centri massaggi, L’HIBISCUS, per un meritato relax. L’ambiente è carino, le ragazze bravine. Come la meravigliosa Spa del Sunee Grand Hotel a Ubon non se ne sono più trovati di centri, per fortuna neanche come quello inqualificabile di Don Khong. Comunque anche qui non scherzano, il top è un centro sul Nam Kham, il cartello dice PROFESSIONAL MASSAGE ed è un tugurio affacciato sulla strada con una famiglia che mangia seduta per terra nell’ingresso mentre sbuccia verdure che butta in un pentolone. Legumi-aroma-terapia! La SPA GARDEN citata sulla Lonely Planet invece è accanto a Villa Chitdara e pare seriamente la migliore, non a caso è tutto prenotato.
Il TAMARIND, un ristorante dalla descrizione interessante sulla guida, si è spostato sul fiume. Ceniamo nei pressi del NIGHT MARKET, poi ci immergiamo nel suo tripudio di souvenir e artigianato per turisti. A VILLA CHITDARA dormiamo nel miglior letto, materasso e cuscino della vacanza ma grazie ai due storditi una sola notte…
Mercoledi, 26 dicembre LUANG PRABANG
Sveglia alle 6.00 per assistere alla famosa questua dei monaci. Le persone del luogo si piazzano sul marciapiede davanti a casa, se questa si trova lungo il percorso abituale dei monaci, con i tipici cestini del riso e magari qualcosa in più. Alle 6.30 si sente il suono del tamburo (presente in tutti i Wat in quella specie di campanile) ed il giro inizia. I monaci fanno un percorso a U. Ogni monaco ha un porta vivande nel quale la popolazione (ora anche i turisti) deposita il cibo (prevalentemente riso). Sulla Sakkharine Road c’è tantissima gente e fare le foto, oltre alla difficoltà dettata dal buio o da un obiettivo poco luminoso, finisci per fotografare i turisti anziché i monaci. Conviene guardarli. La processione passa anche proprio lungo la tranquilla KHOUNSUA ROAD davanti a VILLA CHITDARA, che si rivela ancora una volta scelta azzeccata. Anche la nostra padrona di casa è presente in rispettosa attesa per la sentita donazione. Terminata la questua facciamo colazione, una meravigliosa colazione, al fornito buffet di Villa Chitdara con lo yogurt più buono e genuino assaggiato fin’ora, ottimo caffè e tra la frutta c’è anche il mango! Ci viene un travaso di bile al pensiero di non averne potuto usufruire a dovere a causa dei due rintontiti. Purtroppo dobbiamo infatti trasferirci perché, come già detto, a Villa Chitdara non avevamo trovato posto per la terza notte. Ci accompagna la signora con il suo minivan. VILLA SENESOUK (si pronuncia Sensuc) è una Guesthouse che si affaccia su Sakkharine Rd. Alla reception c’è un ragazzo rincoglionito (ma cosa c’è, un epidemia?!) ma l’altro, più vispo, ci registra mentre si scaccola accuratamente…. Che benvenuto!
La stanza non è pronta, molliamo gli zaini e ce ne andiamo a visitare il PALAZZO REALE. Il giardino è curatissimo, ai lati del viale che conduce al Palazzo svettano enormi palme di specie diverse. Sulla destra c’è il WAT HO PHA BANG, che custodisce il PHA BANG, l’enorme Buddha da cui prende nome la città. Le facciate del Wat sono in restauro, nòva! Il Palazzo va visitato senza scarpe e senza macchina fotografica. C’è una stanza con armadietti richiudibili a chiave e per le calzature invece c’è la scarpiera. Il Palazzo Reale è un enorme bella dimora che mescola lo stile laotiano a quello coloniale. Le pareti interne sono riccamente decorate con frammenti di specchi colorati che, sapientemente disposti, raffigurano scene di vita quotidiana contadina e racconti epici. Si visitano gli appartamenti reali, i sobri arredi, l’interessante collezione di maschere e copricapo teatrali, gli strumenti musicali nella stanza dei bambini. Una foto scattata durante un pranzo diplomatico rende l’idea del moderato splendore che “regnava”. Nelle teche dei saloni sono raccolte statue del Buddha di varie dimensioni e materiali, sciabole, servizi di porcellana, argenti, cristalli e i tanti doni ricevuti dalla famiglia reale da alti esponenti dei governi stranieri tra i quali mi colpiscono i frammenti di Luna riportati sulla Terra dall’Apollo 11 e dall’Apollo 16, doni del Presidente Nixon. Sul retro del Palazzo una struttura ospita una mostra fotografica sul tema della meditazione buddhista (Floating Buddha) a mio avviso non eccelsa, in un altro padiglione c’è un’altra mostra sulla vecchia Luang Prabang, forse meritevole, forse no. Siamo cotte. Nell’immenso garage del Palazzo piuttosto c’è la ROYAL CARS EXHIBITION con le sue due transatlantiche Ford Lincoln e la Esdel color crema degli anni ‘60, una semidistrutta Citroen DS, comunemente conosciuta come Squalo, un fuoristrada Toyota ed un motoscafo. Pranziamo rilassate nel “Tropical Garden Lounge” dell’UTOPIA RIVERSIDE BAR & RESTAURANT, www.UtopiaLuangPrabang.com riprovando ad assaggiare il Laam, sempre piccante, sempre ricco di erbe aromatiche, sempre particolare. L’UTOPIA è un bel locale e una vera oasi. Si trova a destra del ponte di ferro sul lungofiume. Sotto al locale ci sono orti coltivati fino alle sponde del fiume. Il padiglione centrale è arredato con residui bellici, ad esempio bossoli come lampade e portafiori. Affacciata sul fiume c’è una lunga veranda con una sfilza di materassi e cuscini ed un’area con tavoli e poltrone. Uno viene qua e si rilassa, legge, scrive, mangia, beve qualcosa, chiacchiera.
Torniamo alla realtà di VILLA SENESOUK e della sua microscopica stanza di cui prendiamo possesso. Le finestre, munite di zanzariere, non si possono aprire. Respireremo l’aria stantia… Il letto è matrimoniale e la camera costa 31,50 USD. La colazione non è inclusa. Che altro dire…
Nel cortile della grande scuola è in corso l’allestimento per festeggiare un matrimonio. Nei numerosi negozi specializzati abbiamo visto gli addobbi presenti anche qui. Una volta fiorita, guarnita da tulle rosa, viene montata all’ingresso del cortile. Ci sono tanti tavoli, gli invitati saranno almeno trecento. Visitiamo un altro grande Wat e ci affacciamo alle aule della sua scuola gremite da studenti monaci di tutte le età. Ora basta girare, ci vuole un massaggio e poi la cena al NIGHT MARKET nella viuzza sulla destra dove ci sono i buffet e le tavolate. Torniamo a vedere la festa del matrimonio che è in pieno svolgimento. Davanti l’ingresso c’è un cavalletto con incorniciata una foto raffigurante gli sposi. Sotto la volta fiorita una ragazza tiene in mano un vassoio con due bicchierini di vetro dal bordo dorato. Al suo fianco c’è un ragazzo con in mano una bottiglia di whisky (Johnny Walker). Gli ospiti, varcando la soglia, vengono invitati a bere un goccio di whisky (tutti e trecento dagli stessi due bicchierini) poi vanno a salutare gli sposi ed i loro parenti pronti a riceverli, in piedi, in fila su un lato. Dopodiché ognuno prende il suo posto al tavolo assegnato. Su ogni tavolo sono presenti una zuppiera argentea e diverse bottiglie di birra. La musica di sottofondo è terribile, una vera lagna, forse è per questo motivo che viene offerto un bicchierino di whisky… aiuta! Tutte le donne indossano la tipica gonna lao (Sin) perciò sembrano vestite tutte più o meno uguali. Variano solo il sopra e gli accessori. Tra questi spiccano i calzini di una signora, color pistacchio con i disegnini bianchi, un vero pugno in un occhio. La sposa è vestita color porpora e oro, la gonna è la solita, ma una stola appoggiata di traverso le conferisce particolare eleganza. I capelli sono raccolti in uno chignon ornato da qualcosa dorato. Lo sposo è vestito di bianco. In fondo all’ampio cortile c’è un grande striscione con la data dell’evento, i nomi degli sposi e chissà cos’altro scritto in lao. Bene, abbiamo avuto la fortuna di vedere un matrimonio locale, auguri agli sposi! Ora vogliamo tornare al “Wat rosa” per rivedere la magia dello scintillio dei suoi mosaici. Un giovano monaco ci intervista affabilmente, desideroso di imparare qualche parola in italiano. Coraggio, dobbiamo andare a dormire nella nostra ultima dimora laotiana..
Giovedi, 27 dicembre LUANG PRABANG – BANGKOK
Risveglio muscolare con passeggiata sul corso, colazione e tuc-tuc per l’aeroporto. All’aeroporto di Luang Prabang non c’è assolutamente niente. L’unico banchino che vende qualcosa è fuori. Dentro puoi morire, non si vende neanche l’acqua. Agli impiegati dell’ufficio controllo passaporti chiedo il calendario lao 2013 che hanno appeso al muro. Non possono darmelo, hanno solo quello… Pazienza, ci ho provato, non c’è stato verso di trovarne uno da nessuna parte per acquistarlo. L’impiegato che mi timbra il passaporto dopo poco mi richiama.. Ci ha ripensato! Lo stacca dalla parete, lo arrotola e me lo porge. Ma quanto sono gentili questi laotiani! Nel mio ufficio il calendario mi ricorderà per un intero anno la serenità che mi ha regalato il paese da dove proviene.
Sabaidee
INDIRIZZI:
BANGKOK : AT HUALAMPONG HOSTEL Ostello funzionale situato di fronte alla stazione dei treni, perfetto se si deve partire presto | www.at-hualamphong.com | |
UBON RATCHATHANI : SUNEE GRAND HOTEL Grand Hotel dal prezzo accessibile, al 5° piano c’è la piscina e la Spa per un favoloso massaggio | www.suneegrandhotel.com | |
CHAMPASAK : INTHIRA HOTEL Il miglior Hotel di Champasak, anche il suo ristorante INTHIRA è una catena di hotels e ristoranti, è presente anche a THAKHEK, VANG VIENG, BAN SABAI | www.inthira.com | |
DON KHONG: SENESOTHXEUNE HOTEL Charme e pulizia, bellissimo hotel affacciato sul Mekong, vicino al “centro” di Muang Khong | www.ssxhotel.com | |
DON KHONG : PON ARENA HOTEL Buon hotel in Muang Khong.
Il ristorante è caro. Evitare il servizio massaggio |
www.ponarenahotel.com | |
DON KHONG : RATTANASING HOTEL L’hotel è situato a Banna Mouang Khong, a sud dell’isola
Sarà strategico una volta terminata la costruzione del nuovo ponte. Ideale per gruppi numerosi automuniti |
www.rattanasinghotel.com | |
PAKSE : PAKSE’ HOTEL ottima accoglienza e funzionalità, chiedete di Roberto, ristorante eccellente | www.hotelpakse.com | |
LUANG PRABANG : VILLA CHITDARA La proprietaria Miss Vilaiphone è una persona squisita Ottima sistemazione, ottima colazione, la questua dei monaci passa proprio davanti alla Villa | www.villachitdara.com | |
LUANG PRABANG : SAYO GUEST HOUSE Dimora coloniale, nell’ingresso tracce di un passato importante, mi sarebbe piaciuto vederne gli alloggi | www.sayoguesthouse.com | |
BANGKOK OSTELLO LUB*D, SIAM SQUARE Ottimo ostello situato di fronte all’MBK Fermata Skytrain: National Stadium Alloggi e bagni sono curati, moderni e funzionali Buona anche la colazione Esiste un LUB*D gemello nella zona di SILOM | www.lubd.com | |