GIAPPONE
Periodo : fine ottobre – inizio novembre 2019
Durata : due settimane
Tipologia di viaggio : FAI DA TE
ITINERARIO : Tokyo (Urawa) – Kanazawa – Komatsu – Takayama – Kyoto – Nara – Tokyo
INFO UTILI : in fondo al diario su Japan Rail (JR) Pass, Pocket Wifi, Carta Suica e molto altro ancora per preparare il viaggio
DIARIO
1° giorno, Roma-Tokyo (volo diretto Alitalia)
La nostra prima scelta azzeccata è il volo senza scalo e con partenza nel primo pomeriggio in modo da arrivare a Tokyo alle 10,30 del giorno dopo. I dispositivi dell’aeromobile, decisamente attempati, ci fanno fare un tuffo negli anni 80: niente touchscreen, pigia questo, tira quello… ok dai, facciamo già un primo viaggio: nel tempo!
Ed eccoci in Giappone.. Konnichiwa..
L’aeroporto Narita è in ristrutturazione, forse sono già iniziati i lavori in vista delle Olimpiadi del 2020. Innanzitutto ritiriamo il Pocket Wifi per poter essere sempre collegate e i nostri JR Pass per 14 giorni e sfruttiamo subito il JR Pass salendo sul Narita Express che va diretto a Shinjuku, il quartiere di Tokyo più consigliato dove pernottare.
La Stazione di Shinjuku è immensa ma è tutto ben segnalato, non c’è verso di non capire dove andare, basta aguzzare la vista e leggere. Pranziamo velocemente in stazione e ci dirigiamo a piedi verso l’albergo. Il Tokyu Stay Shinjuku è incastonato tra edifici di vario tipo, alti palazzoni moderni e basse costruzioni vecchiotte, per lo più ristorantini. La nostra stanza è bella e spaziosa per gli standard giapponesi e non è stata una scelta a caso. Dopo un volo intercontinentale è fondamentale riposare bene e comunque in questo viaggio ci siamo regalate una dose di comfort in più rispetto al solito. I nostri due letti sono ad una piazza e mezzo, abbiamo un salottino e un’anticamera. Il gabinetto ha la seduta riscaldata e, per tirare lo sciacquone ed usufruire dei vari getti d’acqua, i comandi sono comodamente posizionati sulla parete di fronte al wc in modo da non dover fare contorsionismi. E a proposito di comfort impazziamo subito per tutto quello che la camera offre oltre alle solite boccettine convenzionali: le Yukata (pigiami o come in questo caso una specie di vestaglia da notte), gli spazzolini da denti, le spazzole e gli elastici per i capelli, il bollitore con tre diversi tipi di tè, la lavatrice e l’asse da stiro. Il profumatore spray a cosa servirà?
Facciamo due passi nel quartiere impressionate dalle luci sfavillanti di Shinjuku che si stanno accendendo. I semafori giapponesi hanno un sonoro particolare, cinguettano o cantano, e di sera i poliziotti municipali indossano un gilet con le lucine a led che si accendono come quelle di Natale.
Infiliamo dentro a vari negozi, primo fra tutti quello di Hello Kitty, in un grande negozio di libri e fumetti, poi cerchiamo un posto per la nostra prima cena giapponese. Entriamo in un localino fumoso in cui sfrigolano interiora di maiale e di vitello su una piastra. Hanno anche qualcos’altro? Mah.. intanto ordiniamo due birre. Dopo aver attentamente letto il menù ma avendo capito poco e niente ci viene servito un brodino con strani pezzi di carne gommosa ed un piatto di ottimi Yakisoba (noodles di grano saraceno saltati in padella) con verdure e zenzero rosso fosforescente, cosparsi di Katsuobushi, i fiocchi di tonno essiccato che si muovono. Avete letto bene, si muovono! Iniziamo bene..
Da Starbucks prendiamo un mini flan al tè macha. Sulle prime sembra di mangiare un tortino di spinaci, poi, gradualmente, se ne apprezza il gusto amaro e caratteristico fino ad incontrarne il cuore caldo in un’esplosione di sapore. Tornate in Hotel ci è subito chiara la presenza dello spray profumatore: l’odore del cibo si è appiccicato ai vestiti.
2° giorno, Urawa
Oggi ci attende un programma molto speciale: Seiko, l’amica di un’amica di Susy con cui abbiamo preso contatto dall’Italia, ci ha invitate a raggiungerla al suo paese, Urawa, chiedendoci di cucinare italiano per lei e per i suoi amici. E chi si poteva tirare indietro davanti a un simile invito! Perciò siamo partite dall’Italia con un trolley in più, colmo di viveri. Seiko si è offerta anche di portarci a visitare i principali quartieri di Tokyo negli altri nostri giorni di permanenza previsti. Immaginate tutto quello che c’è da vedere in una metropoli grande come Tokyo, dove ogni quartiere è una città nella città. Come siamo fortunate ad avere una “guida” locale!
Ora riavvolgete il nastro e preparatevi ad un’esperienza completamente diversa. Eh sì, perché Tokyo non l’abbiamo praticamente vista.
Urawa dista solo mezz’ora di treno da Shinjuku. Essendo arrivate in anticipo ci deliziamo ad un chiosco assaggiando dei dolci che ci vengono gentilmente offerti. Uno è lo “sformatino di spinaci” col tè macha, l’altro è un Montblanc sensazionale. Scopriremo durante il viaggio che in Giappone il Montblanc è molto in voga e per noi diventerà una droga! Fa anche rima…
Seiko arriva tutta trafelata. E’ una donna minuta, sorridente e molto accogliente. Ci porta subito a casa sua per depositare il trolley con le cibarie e ci ricopre subito di regali: degli origami fatti da lei, delle zuppe liofilizzate (?), frutta secca, cachi, un paio di stole di cotone di una festa Matsuri con i fiori Fujii, un paio di shopper di plastica. Poi ci fa provare un paio dei suoi kimono, desidera regalarci anche quelli. Siamo felicissime e la ringraziamo moltissimo.
Secondo le “linee guida“ di comportamento per lo scambio dei regali innanzitutto dovrebbero essere sempre confezionati, sicché Susy ha passato i giorni precedenti la partenza a fare pacchetti. Se sei invitato in una casa privata non si presenta il regalo quando si arriva, bensì prima di andare via, scusandosi per la pochezza del presente. Ecco perché il padrone di casa aprirà il regalo dopo che gli ospiti si sono allontanati, per evitare eventuale imbarazzo nel caso che il regalo sia scarso davvero!
Ma sopraffatte da tante attenzioni e dalla spontaneità di Seiko, iniziamo a contraccambiare – contravvenendo alle regole, d’altronde ha cominciato lei! Tiriamo fuori dal bagaglio una serie di pacchetti con i nostri regali e con puntuale non osservanza del rituale Seiko li apre immediatamente! Faccio la carrellata: un kg di Parmigiano-Reggiano sottovuoto (preso direttamente a Parma in caseificio), un kg di caffè di torrefazione, il calendario del 2020 con le opere di Puccini (Seiko è una cantante lirica), un portabiglietti da visita in pelle fatto a mano (giacché pare che in Giappone il biglietto da visita sia fondamentale), un bel biglietto con i nostri ringraziamenti. E come facciamo a scusarci per la pochezza dei regali!! La nostra nuova amica infatti ci ringrazia sentitamente.
Dato che c’è un bel sole lasciamo le giacche in casa e con un treno raggiungiamo Saitama dove Seiko vuole farci vedere l’Omiya Bonsai Village. “Molto speciale” come dice spesso lei. Già! dimenticavo.. Seiko parla italiano. La guardia del museo ci fa un origami a forma di maglietta con i nostri biglietti d’ingresso, che simpatico! Nel piccolo museo sono esposti diversi bonsai, tutti bellissimi. Pranziamo al sacco sulla terrazza dell’edificio con delle cosine portate da Seiko che ci conduce poi nei vari giardini satelliti del Museo, dove ci sono decine e decine di bonsai. In uno di questi un maestro insegna a prendersene cura e a fare la delicata e minuziosa potatura che serve a plasmare la crescita della pianta in modo che abbia lo slancio verso l’alto. Molto speciale! Alcuni bonsai hanno più di mille anni, ma ce ne sono anche di recenti e di piccoli, più comodi da trasportare se si vogliono comprare.
I giardini sono tutti più o meno uguali, visto uno visti tutti, ma Seiko con piantina alla mano non ce ne fa perdere nemmeno uno. Almeno nell’ultimo che visitiamo è consentito fare fotografie. Non sono in grado di dirvi qual è – causa “stato di ubriachezza” – forse il Kyuka-en o il Fuyo-en.
Uscite dal tour dei bonsai ci porta a visitare una vecchia casa giapponese vuota per farci vedere come erano le abitazioni di un tempo poi andiamo in un negozio tipo robivecchi, dove ci consiglia di acquistare i souvenir perché qui sono a buon prezzo. Infine ci porta al Tempio Shintoista Hirawa-Jinja Shrine, molto speciale. Appena varcata la porta d’ingresso si devono sciacquare le mani e la bocca prendendo l’acqua dalla vasca con il ramaiolo di legno. Poi si entra e davanti al tempio si dice una preghiera tra un inchino e l’altro. La nostra attenzione viene catturata dai bambini vestiti tradizionalmente col kimono. Stanno facendo le prove per la Festa dei 3-5-7- anni. Essendo il nostro primo tempio ci piace molto.
Dalla stazione di Omiya riprendiamo il treno e mentre torniamo a casa Seiko ci insegna alcune parole giapponesi utili per presentarci ai suoi amici in occasione della cena. A casa ci offre una tazza di tè con due dolcetti gommosi insapori, i famosi mochi (riso glutinoso lavorato).
Ok, è giunta l’ora di andare a cucinare! Il suo amico Keiichi viene a prenderci con la macchina in cui carica il trolley con le vettovaglie. E’ un ragazzo giovane e molto gentile che parla portoghese. La struttura affittata per l’occasione sembra una scuola ma è un centro sociale. Gli amici e le amiche di Seiko già arrivati sono compostamente seduti e trepidanti. Dopo un saluto sommario entriamo in una vasta stanza dove sono presenti sei postazioni di cucina professionali. Tutt’attorno alle pareti, nei mobili e nelle credenze, sono stipati molteplici utensili, pentole di varie dimensioni, vassoi, taglieri, scodelle, piatti, bicchieri, posate. Nella stanza accanto ci sono quattro forni a microonde e dei carrelli portavivande.
Con gli appunti alla mano mi cimento nei saluti e nella presentazione che scrivo come pronuncio:
Konbànwa – buonasera (e faccio un inchino)
Hajimè Mashtè– piacere
Watà Shiwà Carlotta Coffrini Desù – sono Carlotta Coffrini
Firenze Nì Sùndemàs – abito a Firenze
Yoroshkù Honegài Shimàs (saluto di chiusura con altro inchino)
Applausi ed inchini reciproci a sfare. Poi è il turno di Susy e giù altri applausi ed inchini. Adesso tocca a loro. Dopo la carrellata di nomi e una serie infinita di inchini possiamo cominciare. Seiko porge ad ognuno di noi un grembiule da cucina. A giudicare dai disegni i grembiuli sono stati presi o portati dall’Italia. Sia lei che tutti i suoi amici sono stati in Italia e parecchi hanno studiato l’italiano infatti si sforzano di comunicare intavolando brevi conversazioni.
A quanto pare non dobbiamo semplicemente cucinare per loro, vogliono imparare! Perciò diamo il via allo show cooking iniziando a scrivere i nomi dei piatti e gli ingredienti sull’estesa lavagna che campeggia lungo tutta una parete. Dopo aver appurato cosa è permesso portare in Giappone, cosa non gli piace e cosa riuscivamo a stivare nel bagaglio d’appoggio, abbiamo stilato il seguente menù: crostini con patè di olive nere; fusilli da condire con pomodorini secchi, olive taggiasche, pinoli, pecorino, aglio, olio evo; polenta gialla da condire con pomodorini datterini e/o formaggio e/o crema ai funghi porcini; Pecorino di Sarteano (un’intera forma!) e Parmigiano Reggiano (un altro kg) da degustare con miele e composte della Val D’Orcia; insalata e cavolo cappuccio acquistati freschi al mercato di Omiya; cioccolatini del Venchi e caramelle di frutta gelée di Sicilia per dessert. E scusate se, per la qualità degli ingredienti, mi permetto di aggiungere molto speciale…
Le amiche di Seiko si accalcano curiose intorno alla chef Susy per osservarla e prendere appunti. Nel mentre io preparo il cavolo cappuccio aiutata da Shigeko. Quando taglio la forma di Pecorino in tocchetti e faccio a scaglie il Parmigiano, Koichi, rimasto in disparte, viene ad assaggiarli. L’espressione sul suo volto è quella di un bambino goloso che non ha potuto resistere all’impulso di allungare la mano. Annuisco in segno di apprezzamento.
Ogni tanto sopraggiunge qualcun altro. Ma, alla fine, quanti saremo?
Prendo un grande piatto dai disegni blu: costeggiando il bordo, con alcuni pezzi di formaggio compongo la scritta ITALIA JAPAN e con i pomodorini secchi creo un fiore centrale. Il piatto ha un grande successo e genera un scarica di applausi e di inchini. Poi in una manciata di secondi il contenuto sparisce nelle bocche degli amici giapponesi.
Apparecchiamo? Ok, ma dove? non c’è neppure un tavolo… Dopo un attimo di smarrimento allestiamo la tavolata sopra uno dei banchi da cucina. Le sedie ci sono. Nell’attesa facciamo un giro di presentazioni più approfondite: lavoro, stato civile e a loro grande richiesta anche l’età. Devo dire che loro non dimostrano affatto gli anni che hanno.
Susy annuncia che la cena è pronta. Keiichi si offre per servire la pasta ma esagera con le porzioni, al che Susy interviene prontamente ridistribuendola da un piatto all’altro, riuscendo anche a metterne da parte per eventuali ulteriori ritardatari. Notiamo che, ancor prima di iniziare, i commensali ripongono del cibo nei contenitori di plastica che si sono portati da casa, sarà per farlo assaggiare ai familiari? Poi si avventano sul cibo dimostrando di apprezzarlo molto.
Ma Seiko non aveva detto che avremmo pasteggiato con il tè verde? Il tè non c’è, l’acqua neppure, però ha portato del vino rosso (una bottiglia in sedici e pure datato). Pazienza, muriamo a secco..
Keiichi ha portato la chitarra e si mette a cantare in portoghese dei pezzi di Bossa Nova con stonata passione, creando un connubio singolare per una cena italiana in Giappone. L’ultimo arrivato si scofana la pasta residua direttamente dalla padella mentre con una mano agguanta cioccolatini e caramelle temendo forse di rimanere senza. Seiko, con una mossa da prestigiatrice, fa sparire in un attimo quanto avanzato: mezza forma di Pecorino, un pezzo di Parmigiano e i pomodori datterini in scatola. Per concludere la serata abbiamo portato un pensierino per tutti i convitati – tutti quelli che sapevamo esserci! – meno male che abbiamo delle piccole confezioni di cioccolatini da usare come jolly per gli imbucati. A conferma di quanto i giapponesi adorino sorprese e regalini notiamo che sono tutti visibilmente eccitati. Seiko si piazza addirittura in pole position per ricevere il suo.
Quando arriva la telefonata di qualcuno che evidentemente chiede che venga liberato il locale, scattano simultaneamente tutti in piedi ingaggiando una catena lava–asciuga–le stoviglie–rimetti- le cose–al loro-posto e, in un battibaleno, torna tutto come l’abbiamo trovato.
E’ stata una serata fantastica, davvero molto speciale! Noi s’è mangiato poco, bevuto nulla, ma la loro felicità è la nostra. Keiichi si offre di riportarci a Shinjuku con la macchina e noi accettiamo ringraziandolo di cuore. Proviamo così anche l’ebbrezza dell’autostrada.
3° giorno, Urawa
Oggi piove e il programma è cambiato. Per quanto riguarda la pioggia in Giappone hanno gli ombrelli tutti uguali, o neri o trasparenti; in albergo sono a disposizione dei clienti e negli uffici informazioni puoi prenderli e riportarli. La vera genialata è che quando entri da qualche parte e lasci l’ombrello non ti preoccupi di ritrovare il tuo, entri, fai quello che devi fare, esci e ne prendi uno a caso, tanto son tutti uguali! In merito alla variazione di programma non sarà Seiko a raggiungerci per mostrarci Tokyo ma noi a tornare ad Urawa. Abbiamo l’opportunità di assistere ad una vera cerimonia del tè, molto speciale e imperdibile.
Dalla stazione di Shinjuku prendiamo il treno e alle 11.00 siamo di nuovo a Urawa.
Seiko ci porta a fare una passeggiatina al Bessho-Numa Park che ha un lago costeggiato da alberi di ciliegio che non sono ovviamente in fiore essendo autunno. Abbiamo l’impressione che stia tergiversando. Forse per arrivare all’ora di pranzo? Ma allora non potevamo ritrovarci nel pomeriggio così riuscivamo a vedere qualcosina di Tokyo? Fiducia, bisogna avere fiducia.
Verso mezzogiorno ci porta all’Ichigen, un ristorantino situato sotto a un ponte, credo della ferrovia. Seiko ha prenotato una specie di sgabuzzino con le pareti mobili, un separé! Non capisco perché ci portino due caffè prima di mangiare, poco importa visto che svaniscono istantaneamente nel thermos di Seiko. Occhei… allora, cosa ordiniamo? Seiko ci spiega che l’importante è prendere solo due piatti e un contorno – leggi tre/quattro foglioline di verdura dentro una ciotolina minuscola – in modo da spendere e-sat-ta-men-te 2.200 yen. In questo modo, le verrà accreditata la somma di 2.000 yen in quanto membro I-Pak (non chiedetemi cos’è, non so neanche se ho capito bene il nome). Nel nostro immaginario, il popolo giapponese – così all’avanguardia per la tecnologia – è benestante. Invece iniziamo a supporre che non sia così. Nel dubbio fingiamo di essere già sazie lasciandole terminare i nostri piatti e quando ci dice che è contenta perché oggi ha molta energia, grazie alla cena di ieri sera e alla polenta che ha mangiato per colazione, ne abbiamo la riprova. Il pensiero torna anche ai suoi amici, quando hanno messo da parte pasta e polenta nei contenitori. A questo punto sorge spontanea una supposizione: avrà insistito perché trascorressimo con lei anche la mattinata per mangiare in questo posto molto speciale dove viene spesso, per poter portare a casa qualcosa e avere il rimborso? Può essere. Nel caso siamo contente di aver contribuito e lei, molto corretta, non ci lascia pagare il conto.
Finalmente arriviamo al momento topico del “ritorno ad Urawa”. Andando di vicolo in vicolo, Seiko ci porta in una Chiesa dove si terrà la cerimonia del tè organizzata per noi. Avanzando negli stretti corridoi, affacciati su un piccolo giardino zen, accediamo alla stanza dedicata alla cerimonia. Per fortuna ci è concesso stare sedute sulle sedie, perché se ci toccava stare in ginocchio a quest’ora eravamo ancora là incriccate.
Ci presentiamo alle accoglienti signore con le poche parole che abbiamo imparato con il compiacimento della nostra “insegnante”. In silenzio osserviamo i lenti movimenti del rituale ossequiosamente eseguiti dalla maestra di cerimonia. Un tempo l’acqua veniva scaldata sul carbone ma, siccome costa caro, ora si usa un fornello elettrico. Mentre l’acqua bolle, una signora legge una poesia che Seiko traduce simultaneamente. La polvere di tè viene amalgamata all’acqua con un apposito “frullino” di bambù. Il tè, servito in una ciotola di ceramica, è molto denso, ha un colore verde intenso, è molto amaro e a me piace tantissimo. A Susy un po’ meno. Per la mia gioia ce ne viene offerta un’altra tazza dopo aver replicato la cerimonia di preparazione. Tra un tè e l’altro assaggiamo dei graziosi dolcetti, ogni volta diversi e spesso insapori, che dobbiamo prendere con una bacchettina di legno. Una donna inizia a suonare un ingombrante strumento a corde appoggiato sul pavimento e una ragazza suona il flauto. Ci vestono con dei vecchi kimono che tirano fuori dai cassetti di un mobile antico. Al termine della vestizione ci facciamo una foto di gruppo per ricordo. Seiko è molto felice e noi di più. Al momento di congedarci chiediamo se possiamo lasciare un’offerta alla Chiesa. Dopo un rimpallo di pareri tra la maestra di cerimonia e le “consorelle” l’offerta viene quantificata in 1.500 yen, una cifra assolutamente onesta, anche troppo. Credo che una cerimonia del tè turistica costi molto di più. Siamo assolutamente grate a Seiko per questa esperienza davvero molto speciale. Dopo una serie infinita di ringraziamenti, saluti ed inchini lasciamo le sorridenti signore per fare un altro giretto per Urawa, entrando in un vecchio negozio di tè e visitando una casa molto antica con le pareti originali di fango e paglia.
Alla stazione ringraziamo ancora Seiko con sincera gratitudine e salutandola riprendiamo il treno per tornare a Shinjuku. Anche se di Tokyo non abbiamo visto nulla siamo francamente troppo cotte per visitare qualcosa di sera, dunque saliamo al settimo piano del comodo Lumine Est passando in rassegna i ristoranti. La scelta dei piatti è facilitata dalla riproduzione dei piatti esposti in vetrina, una cosa molto tipica giapponese. Sono realizzate in plastica, sembrano piatti veri e quelli serviti non si discostano di una virgola dalla loro rappresentazione. Ogni bicchierino, cartoncino, vassoino è in totale armonia con il contenuto; i dolcetti poi sono dei veri e propri capolavori. Nei locali più distinti si viene accolti con una profusione di inchini. Quando rientriamo in albergo ridiamo fino alle lacrime immaginando la scena al rientro a casa: “Icché c’è stasera da mangiare??” e noi giù inchini… ahhha hha hhaaa!
4° giorno, da Tokyo a Kanazawa (Shinkansen Kagayaki)
Da Shinjuku, con la linea rapida JR Chuo Line che taglia Tokyo a metà, si raggiunge la Stazione “Tokyo” velocemente. Sulla metro devi essere veloce a sederti, senza remore e tentennamenti di cortesia. I giapponesi non se lo sognano proprio di lasciarti il posto o di aiutarti con i bagagli. A proposito, abbiamo spedito il nostro trolley in più – ora svuotato delle cibarie ma riempito con i kimono e le zuppe regalati da Seiko – con il comodissimo servizio che offre la maggior parte degli Hotel. Praticamente consegni alla reception il bagaglio, paghi una cifra assolutamente abbordabile che dipende dal corriere, dalla distanza, dal peso e dalla misura del bagaglio ed entro uno o due giorni viene recapitato nel tuo prossimo Hotel. Per darvi un’idea, il costo di questa tratta è stato pari a 1.350 yen.
Per andare a Kanazawa prendiamo il nostro primo treno Shinkansen. Sul marciapiede del binario sono disegnate le linee per fare la fila, con le impronte dei piedi dove sostare, in corrispondenza di ogni porta del treno. Eh sì, perché le porte si aprono esattamente dove stabilito. Quando il treno arriva ad una destinazione finale, a bordo scatta l’operazione pulizia, cambio poggiatesta, orientamento sedili. Vi state domandando cos’è quest’ultimo? Ve lo dico subito. I sedili hanno un pedale laterale; premendolo ruotano su se stessi in modo che siano sempre rivolti nel senso di marcia. Una cosa fantastica, mia mamma li adorerebbe!
La stazione di Kanazawa è un vasto quadrilatero con l’accesso ai binari, numerosi negozi di souvenir, un buona panetteria per uno spuntino (DONQ Kanazawa Station) e l’Ufficio Informazioni Turistiche. All’uscita est c’è l’imponente Torii Tsuzumi-mon, una scultura di legno moderna di grande impatto, molto utile per ricordare il lato della stazione degli autobus.
Il nostro APA Hotel Kanazawa Ekimae è vicinissimo alla stazione ferroviaria, dunque come previsto molto tattico. Però di tutti gli alberghi prenotati è il più bruttino, con un deciso bisogno di rinnovamento e con il personale meno affabile riscontrato nella vacanza. Di una cosa gli va comunque dato merito: gli asciugamani di colore diverso, un’accortezza molto funzionale per distinguere i propri.
Per girare Kanazawa si usano principalmente gli autobus. Ci sono varie linee e quelle turistiche fanno più o meno lo stesso itinerario. I biglietti possono essere acquistati presso l’Ufficio Informazioni della stazione ma se avete il JR Pass non dovete fare altro che procurarvi una mappa nel suddetto ufficio, salire su un bus JR e partire. I bus JR fanno due percorsi, quello rosso e quello blu, toccando tutti i punti di interesse.
Ci rechiamo ai famosi Giardini Kenrouen che vediamo a pelo perché chiudono presto. Passeggiare al loro interno è magico. Sono curatissimi, non c’è un filo d’erba fuori posto, ogni albero è stato modellato da solerti giardinieri. All’imbrunire andiamo in un localino poco distante. Con un bel tramonto rosa ammiriamo il Castello gustando un dolcetto alla castagna. Rientrate alla base andiamo a cena al Forus, dove c’è una sfilza di ristoranti al 6° piano. Indoviniamo quello giusto per noi, Kanazawa Meat specializzato in hamburger di manzo Wagyu – dove ordiniamo un vassoio con un brodino caldo, una ciotola di riso, alghe, zenzero, patate, avocado, cavolo cappuccio, peperoni e un hamburgerone eccezionale – link www.kanazawameat.com. Comunque per riconoscerlo cercate l’immagine di un manzo marrone.
5° giorno, Kanazawa
Iniziamo la giornata recandoci in autobus all’Omicho Market all’interno del quale ci perdiamo spensieratamente catturate dall’esposizione di pesci di ogni tipo, granchi esagerati, aragoste, gamberi, funghi, castagne smisurate, verdure e negozi vari. Notiamo incredule che è tutto pulitissimo, per terra non c’è una carta, una verdura, uno scarto, una goccia d’acqua, niente di niente! Un pavimento così pulito non l’ho mai visto in nessun mercato del mondo. Assaggiamo dei totani grigliati e forse dei molluschi che sembrano gomma da masticare sotto lo sguardo divertito di un gruppetto di giovani studenti per le nostre boccacce. Ci idratiamo con un succo di frutta particolare e delle fette già tagliate di diospero. Io compro un paio di calzini bianchi “infradito” da Geisha. Costano, ma sono stupendi.. Prima di ripartire facciamo una sosta ai bagni. I bagni sono sempre presenti dappertutto, sono puliti, c’è la carta igienica e la musica per non molestare altri fruitori con i vostri rumori.
Riprendiamo l’autobus per andare a visitare la casa tradizionale Shinise Memorial Hall della famiglia Nakaya che, ad un certo punto, iniziò a lavorare con la medicina cinese dando vita alla The Old Nakaya Pharmacy – link https://www.kanazawa-museum.jp/shinise/english/index.html. Addentrarsi nelle stanze della dimora è intrigante. Tra le esposizioni ci sono dei pregiati kimono e le sfere Kaga Temari rivestite di tessuto dalla trama preziosa e ricamata, simbolo di buona fortuna. Infatti siamo fortunate perché la casa non è affollata e il sole ci permette di apprezzare il suo meraviglioso e rasserenante giardino zen.
Ora dobbiamo spicciarci se vogliamo andare nel quartiere Higashi Chaya per vedere almeno una delle Okiya, le case dove le maiko studiavano per diventare Geisha! Abbiamo la mappa ma se chiedessimo a qualcuno per fare prima? Ci rivolgiamo all’Info Point che è proprio davanti a noi. Il vigilante ci scorta personalmente, sorridente e fiero di se stesso, fino alla casa da tè Kaikaro Chaya, dove arriviamo giusto in tempo per visitarla. Arigato gozaimasu… Gli interni della casa sono incantevoli, in particolare la stanza con il kimono rosso aperto su un appropriato espositore di legno e quella per la cerimonia del tè. Al termine della visita degustiamo una buona tazza di tè macha con panna montata guarnita da tre fagioli azuki, accompagnata da tre mochi. Nella casa successiva, l’Ochaya Shima, i dettagli sono preziosi, come ad esempio gli occhielli dei pannelli scorrevoli. In una stanza sono esposte bottigliette e tazze per il sakè. In un paio di grandi teche sono conservati gli accessori per l’acconciatura ed il trucco delle Geishe, specchi, pettini, fermagli e portacipria. Grosse lenti di ingrandimento permettono di apprezzarne le graziose decorazioni.
Alle 17.00 chiude tutto, le strade si svuotano e non resta neppure un lampione acceso.
Alla pensilina degli autobus ci sono sempre le panchine e gli orari. Alcune compagnie dispongono di un pannello digitale con l’immagine dell’autobussino che si muove. Che bellino..
In Giappone anche gli autobus spaccano il minuto, persino in caso di traffico.
Di sera, la stazione di Kanazawa è illuminata ad effetto. C’è una fontana particolare che con i suoi getti d’acqua disegna a ripetizione le parole Welcome Kanazawa e la data del giorno. Sotto al grande Torii Tsuzumi-mon due ragazzine si stanno esibendo cantando, ci fermiamo ad ascoltarle.
Per la cena torniamo da Forus scegliendo il Mokumori, un ristorante dove possiamo assaggiare l’Okonomiyaki, una sorta di pizza giapponese, non male ma.. preferiamo la nostra pizza italiana. La birra però è proprio buona. Il conto ci viene presentato su una tavoletta appoggiata sul tavolo a testa in giù, in modo che non sia visibile il costo se non rigirandola. Sarà una questione di eleganza nel caso qualcuno voglia offrire o di garbo per non fare andare di traverso il pasto? In ogni caso sappiate che, a meno che non andiate in locali veramente di lusso, per mangiare si spende il giusto.
6° giorno, da Kanazawa a Komatsu (treno JR Hokuriku Line)
Poiché abbiamo il treno dopo pranzo, approfittiamo della mattinata per visitare il quartiere Nagamachi. Con l’autobus scendiamo alla fermata Korimbo e camminiamo nel quartiere dei Samurai, con le stradine lastricate e piccoli canali, affacciandoci nei cortili di antiche dimore, alcune tramutate in negozi. Nel rinomato Kaburaki Kutani Porcelain Shop & Museum non resisto e mi faccio un regalino acquistando un piccolo e colorato porta incenso di porcellana Kutani dal motivo floreale – link https://kaburaki.jp/en/index.html. L’antica residenza della famiglia Nomura merita senz’altro la visita. The Ancient site of a Samurai House, The Family of Nomura è stupefacente. Oltre all’affascinante struttura dagli eleganti pannelli scorrevoli dipinti e all’immancabile giardino zen, possiamo vedere una collezione di armature, katane, cimeli e ceramiche pregiate.
Per tornare in albergo dove sarà la fermata dell’autobus più vicina? Su un cartello leggiamo “se stai cercando la fermata dell’autobus devi andare avanti altri 80 metri”. Capito? Quando pensi una cosa, alza lo sguardo e vedrai che l’hanno scritta da qualche parte. Adoro la perspicacia giapponese!
Il bagaglio jolly è arrivato in albergo. Per il prossimo trasferimento lo porteremo con noi perché a Komatsu soggiorneremo una sola notte, ma sarà una notte da favola!
L’Hoshi Ryokan è uno degli alberghi-onsen più antichi del mondo – link https://www.ho-shi.co.jp/. Su richiesta, la struttura offre il servizio navetta gratuito da e per due stazioni ferroviarie vicine, in orari differenti. Continuando a sfruttare il nostro JR Pass prendiamo un treno per andare alla stazione di Awazu (Ishikawa). Da Kanazawa sono 11 fermate.
Alla stazione ci attendono due uomini vestiti in modo tradizionale. L’autista e l’accompagnatore si prodigano in inchini di benvenuto con tanto di gagliardetto. Konnichiwa.. Si comincia bene!
Il tragitto fino al Ryokan dura poco più di dieci minuti. Scese dalla navetta veniamo invitate, a gesti e con un’altra serie di inchini, a toglierci le scarpe da depositare in una scarpiera dove i posti sono già assegnati con i nostri nomi! L’ospitalità si preannuncia all’altezza delle nostre aspettative.
Indossiamo le “ciabatte d’ordinanza” e andiamo alla Reception ma, prima di farci fare check-in, ci propongono di andare a bere una tazza di tè nel salone con le larghe scale di legno digradanti verso un grande giardino zen da contemplare attraverso le vetrate. Mentre osserviamo le carpe vermiglie che nuotano nel laghetto, sorbiamo il tè macha dal colore verde brillante rigorosamente complementare al rosso del piccolo vassoio con a latere un dolcetto alla castagna, il mio preferito.
Estasiate commentiamo che dovremmo introdurre questa abitudine nella nostra quotidianità: al rientro dal lavoro bisognerebbe sedersi e bere una tazza di tè concedendosi un momento di relax…
Quando ci sentiamo spiritualmente pronte facciamo check-in.
Una gentile signora in kimono carica i nostri bagagli su un carrello e, attraversando un lungo corridoio con la moquette, ci conduce alla nostra camera. Più che una camera è un miniappartamento. Lasciate le ciabatte nell’ingresso, la signora ci mostra dov’è il bagno, il frigorifero, il thermos con l’acqua fresca, poi si congeda. Allora, intanto i bagni sono due: la stanza con il wc – dove devi entrare con altre ciabatte con la scritta Toilette sulla fascia! – e la sala da bagno che ha un vano con il lavandino e la stanza per le abluzioni. Nell’ingresso ci sono due paia di pannelli scorrevoli perpendicolari. Il primo paio nasconde lo spazio dove sono riposti i futon (materassi) per dormire; aprendo il secondo paio di pannelli si accede alla camera, una grande stanza meravigliosamente armonica, con pochi mobili essenziali, sobri quadri alle pareti, l’immancabile vaso di fiori in un angolo, un basso tavolino con altro tè già servito, un dolcetto con l’interno di pasta dolce ricavata dai fagioli rossi azuki, piccoli asciugamani di stoffa caldi per lavarsi le mani, due cuscini con lo schienale, il poggia braccio di legno. Siamo senza fiato.
In tutto l’ambiente c’è la tradizionale pavimentazione giapponese con i tatami (stuoie di paglia intrecciata) perfettamente incastrati. Alt! Ci sono altri pannelli scorrevoli sul lato opposto a quello da dove siamo entrare, che ci sarà ancora? Apriamo e scopriamo di avere anche il salottino privato che si affaccia sull’incantevole giardino zen che già abbiamo avuto modo di apprezzare!! Siamo sveglie o stiamo sognando?
Riavute dallo shock innanzitutto indossiamo le Yukata con cui potremo gironzolare per la struttura alle terme, a cena, a dormire e a fare colazione. I love Yukata dress code!
Poi ci rechiamo subito al Ladies Bath. Il rituale giapponese del bagno termale vuole che anzitutto ci si lavi abbondantemente e a lungo nelle postazioni avanti di accedere alle vasche. Hoshi Ryokan ha anche una piacevole vasca all’aperto. L’acqua è molto calda, ragion per cui non ci tratteniamo a lungo, più che altro non ci si può resistere. L’intero procedimento va espletato in rigoroso silenzio e totale nudità. Si lasciano gli indumenti all’ingresso, ci sono le lozioni struccanti, gli elastici per raccogliere i capelli, bagnoschiuma e shampoo, il phon e la crema per il corpo.
Pulite e rilassate torniamo in camera e per la seconda volta è un’apparizione mozzafiato. Durante la nostra assenza è stata allestita per la notte, il tavolo è stato spostato, per terra sono stati adagiati i materassi con i piumoni e nel giardino zen, illuminato dalle lampade per l’oscurità, aleggia il silenzio e la magia di una fiaba. Andiamo a cena felici come due principesse e per l’occasione indosso i calzini infradito bianchi con i fiorellini ricamati che ho comprato a Kanazawa.
Fanno un figurone!
La cucina è del tipo Kaiseki, tradizionale e di altissimo livello, fatta di assaggini “prelibati” e definita una vera esperienza olistica: un mini pescetto secco qua, una pallina molliccia là.. dai, assaggiamo.. magari ci sorprende! Una zelante aiutante ci spiega come usare i nostri mini fornellini, la mini piastrina e il mini pentolino per cuocere, grigliare e bollire le mini verdurine, i mini pesciolini, le mini fettine di carne shabu, le alghette, le radici, il gamberetto, il funghetto, il..? ..mmhh.. che sarà? non si sa!
Se c’erano le nostre nipotine sai come si divertivano con questi balocchi!
Notiamo la stessa nostra perplessità sui volti degli altri ospiti ma cerchiamo di farci coraggio applicandoci. Se non altro questo cibo non ci dovrebbe appesantire. Quando il pesce mi si attacca alla piastra l’aiutante si precipita inorridita esortandomi a toglierlo subito. Ho cannato la cottura! Sumimasen.. Facciamo una fatica bestiale a trattenerci dal ridere.
Speriamo che la colazione sia diversa altrimenti prenderò in considerazione una vacanza prolungata in questo posto per mettermi a dieta.
7° giorno, da Komatsu a Takayama (da Kaga Onsen treno espresso con cambio a Gifu)
Ah.. che bella dormita..
Ancora in “pigiama” andiamo a fare colazione. Mmmhh.. dall’apparecchiatura è evidente che è nello stesso stile della cena, va bene, prepariamoci psicologicamente…
E infatti ci servono: una ciotolina di riso, due rondelle di carota, cinque o sei alghette, tre cose non identificate dentro a ciotole piccolissime di ceramica dalle forme diverse, un uovo che galleggia in un brodino, una sogliolina dalle dimensioni di un magnete per il frigorifero da arrostire sul mini braciere sperando di azzeccare la cottura, dei germogli di soia, un pezzettino di tofu con l’erba cipollina e dei funghettini. C’è una pasticceria nei paraggi?? Però il sashimi è mondiale! Peccato che la porzioncina sia ina ina ina.
Comunque, a parte i pasti stile “7 chili in 7 giorni”, il soggiorno è stato memorabile, imperdibile e molto giapponese. E noi siamo super soddisfatte anche di questa esperienza.
Usufruendo della navetta, ripartiamo dalla stazione di Kaga Onsen prendendo il treno che ci porterà a Takayama. La ferrovia costeggia un fiume verde smeraldo attraversando splendide vallate. Dal finestrino del treno osserviamo le foreste di bambù e di pini e i paesini dove fa le fermate. A Gero ci sono degli stabilimenti termali. Durante il tragitto mangiamo i ravioli al vapore nei Bento acquistati alla stazione. Abbiamo preso anche un Cheese Cake e un Montblanc, da manuale! soprattutto compensatori… Nella confezione da asporto dei dolci è stato inserito un mini-ghiacciolo per mantenerli a temperatura adeguata. Sono troppo attenti e organizzati questi giapponesi! Vado in bagno e.. altra meraviglia, non è necessario toccare la seggetta del wc, si alza e si abbassa da sola avvicinando la mano al sensore. Al ritorno sentiremo di sicuro la mancanza dell’efficienza nipponica.
Lo Spa Hotel Alpina Hida di Takayama si trova a ragionevole distanza dalla stazione, ci arriviamo a piedi in pochi minuti. Fatto check-in agguantiamo la cartina in italiano della città. Lo scrivo perché negli alberghi giapponesi non immaginavo certo di trovare le mappe anche nella nostra lingua. Senza andare tanto lontano, negli altri paesi europei te la puoi sognare!
Oltre ai principali punti di interesse, sulle loro cartine sono indicate le passeggiate con la tipologia degli alberi per sapere dov’è la loro maggiore concentrazione. Pertanto se è il periodo dei ciliegi in fiore (Hanami) o degli aceri colorati (Momijigari) sai dove andare senza girare a vuoto. E a proposito di Momijigari, negli alberghi c’è una grande mappa che viene aggiornata ogni giorno con la previsione della gradazione di colore degli aceri, dal giallo, all’arancione, al rosso fuoco. Una cosa eccezionale, niente è lasciato al caso.
Facciamo un giretto per Takayama, piccola e carina ma quasi deserta, sarà l’orario. E allora andiamo a cena! Sulla via principale saliamo un paio di rampe di scale attratte da un cartello rosso che segnala un Japanese Pub: 2F Izakaya Hidanosuke. Ottima scelta! Mangiamo bene in un ambiente piacevolissimo, servite e coccolate da un simpatico ragazzo.
8° giorno, Takayama
Anche oggi il tempo è bello, c’è il sole, e al Mercato di Miyagawa, che si snoda lungo il fiume, non ci perdiamo un banco. Siamo soprattutto incuriosite da quelli alimentari per le tante cose strane esposte e per niente allettanti. Acquistiamo però una sacchettata di mele, una vera specialità di Takayama, perché la frutta ci manca molto e queste mele sono buonissime, dolci e succose.
A Takayama ci sono immensi negozi che vendono solo bacchette per mangiare (hashi) che puoi fare personalizzare. Devo dire che, pur non essendo una patita dello shopping, è impossibile non avere voglia di comprare qualcosa. Siamo alla ricerca di una bella tazza, quella giapponese non può mancare nella nostra collezione. Con impegno e pazienza ne troviamo una che ci piace molto e dal prezzo abbordabile. Come sempre la scegliamo uguale, con il disegno di delicate foglie d’acero. A proposito di aceri qui a Takayama iniziano a colorarsi e sono meravigliosi! Ne vediamo diverse piante nei dintorni del Tempio Shintoista Sakurayama Hachimangu Shrine, dove peraltro notiamo alcuni cartelli di stare attenti agli orsi. Gli orsi??
Poiché ci è venuta una certa fame proviamo ad andare all’Ebisu Handmade Buckwheat Noodle Shop, citato nella Lonely Planet. In vetrina c’è un uomo intento a impastare e tagliare noodles, peccato che il ristorante sia in chiusura e non ci fanno entrare. Proviamo ad andare in un altro posto dall’altro lato della strada dove, essendoci la coda, si presume che si mangi bene ma, via via che la gente entra, un cameriere esce e cancella i piatti dal tabellone del menù. E se praticamente non è rimasto più niente che restiamo in coda a fare! E se ripiegassimo sperimentando il locale situato sotto al pub di ieri sera? E’ un posto cui non abbiamo dato una lira, né da fuori né da dentro, invece.. ha una sua identità e il denso curry accompagnato a riso e carne è proprio buono.
Andiamo ancora un po’ a zonzo prima che chiudano tutto? Nella zona alta di Takayama c’è un bel percorso nel quartiere Teramachi, l’area dei Templi, dove troviamo altri aceri colorati. Tornando nel quartiere San-Machi Suji ci perdiamo nelle sue stradine con le case tradizionali in legno. Qui ci sono diverse botteghe artigiane, piccoli musei, distillerie di sakè che puoi degustare e negozi di vario genere con le vetrine allestite in armonia con i colori stagionali. Ad un barroccino di strada proviamo gli ottimi cracker di riso salati shio-senbei, quelli col sesamo sono top.
Susy, già che l’ha vista e ha il timore di non ritrovarla, acquista una bambola Kokeshi per una delle sue figlie che le colleziona. Propone anche di aguzzare la vista per trovare una valigia aggiuntiva dato che la sua straborda e il trolley d’appoggio non basta per due. Esauste dal tanto girovagare torniamo in albergo per sfruttarne la Spa e toglierci la stanchezza. Torniamo a cena al pub e il ragazzo del locale va in brodo di giuggiole. Nel bigliettino del conto troviamo scritto “Thank you for coming again : ) we are very happy. Enjoy in Takayama” ma che carino… Arigato gozaimasu…
9° giorno, da Takayama a Kyoto (treno espresso per Nagoya + Shinkansen Hikari)
Sempre più spettinate, scendiamo a fare colazione in ciabatte e con indosso le Yukata, troppo ganza questa usanza! Dopo Kanazawa, Komatsu e Takayama oggi ci aspetta una nuova grande metropoli. Si va a Kyoto!
Acquistiamo i praticissimi Bento per pranzare sul treno. Siamo proprio soddisfatte dei nostri JR Rail Pass, li stiamo sfruttando tantissimo. Alla Stazione di Kyoto restiamo impressionate dalla moderna struttura principale. Andiamo al North Main Gate, dove ci ha dato appuntamento Richy, un amico di Seiko che ci farà da guida in questo nostro primo giorno a Kyoto. Nell’attesa di incontrarlo prendiamo una cosa fondamentale nell’Ufficio Informazioni Turistiche: la cartina Subway/Bus Navi con i percorsi e gli scambi di tutti i bus, metro e treni della città.
Richy arriva sorridente mostrandoci la nostra foto sul suo tablet. Parlando in inglese, propone di andare prima all’Hotel a depositare i bagagli, e poi di accompagnarci da qualche parte, precisando che per lui non è un problema perché ha l’abbonamento per i mezzi pubblici. Ci mancherebbe altro!
Ci aspettavamo che almeno Richy, non propriamente estraneo, ci desse una mano con i bagagli.. Benché piccoli, abbiamo comunque due trolley a testa. Ma l’idea di trascinarne anche uno solo – e da non portare sulla schiena in salita come uno sherpa sull’Himalaya – non gli passa neanche per l’anticamera del cervello. Non solo, nei meandri della stazione va pure come un razzo. Dopo pochi metri infatti siamo già con la lingua per terra, ci vorrebbe il camel-bag!
L’Hotel Grand Bach Kyoto Select è stupendo ma ora non possiamo apprezzarlo, dobbiamo lasciare velocemente i bagagli e correre scattanti dietro a Richy alla scoperta di Kyoto. Prendiamo un treno della JR Kyoto Line. Per arrivare al Tempio Kyomizu Dera attraversiamo Gion, il quartiere delle Geishe, con le case di legno che ancora oggi emanano un fascino antico. Gion è brulicante di turisti stranieri ma anche locali. Tra le giovani ragazze va molto di moda affittare kimono e zoccoli per farsi i selfie. Con Richy pratico dei luoghi siamo agevolate nello spostamento ma non ci possiamo soffermare a guardare tutto ciò che attira la nostra attenzione: simil-geishe a passeggio, lanterne colorate, interi negozi di gatti Maneki neko, dolci dalle forme più svariate, ventagli, ombrelli di carta, stoffe, tè macha, ceramiche. Ok dai, ci si torna da sole.
Al Tempio buddista Kyomizu Dera c’è tantissima gente e ne comprendiamo subito la ragione quando ci appare. La sua esaltante bellezza è potenziata dalla posizione elevata sulla città. Richy ci fa andare a occhi chiusi verso una coppia di pietre per trovare l’amore al Santuario Jishu-jinja poi saliamo a vedere altri templi satelliti e fino a tornare in un piccolo piazzale per fare la coda alla fontana Otowa-no-taki per attingere l’acqua purissima e miracolosa. I giapponesi vanno matti per i riti propiziatori. Nel frattempo si è fatto buio e quando riattraversiamo Gion la sua atmosfera è ancora più intensa. Sostiamo presso un banco di Street food per assaggiare delle ciambelline di riso in salsa di soia. Richy ci ringrazia dicendo di non averle mai assaggiate poi riparte come un missile.
Prendiamo la Keihan Railway e scendiamo vicino al fiume. Siamo a Pontocho, dove ci sono tanti localini sfiziosi, ma Richy tira dritto. Memorizziamo anche questo posto per tornarci con calma? Pant pant.. ma dove ci sta portando? Al Nishiki Market, praticamente di fronte al nostro albergo, probabilmente conosce un posto valido. Al mercato c’è di tutto compreso il Kyoto Mamesiba Cafe, un locale dove si paga per stare in compagnia dei cuccioli di questa razza canina particolare. Come di consueto, nelle vetrine dei ristoranti sono esposte le riproduzioni dei vari piatti, in particolare è molto in voga la pregiata carne di Kobe, il manzo tenerissimo con le venature di grasso. Anche gli enormi granchi arancioni vanno per la maggiore. Lui dove ci porta? In una bettola che più scalcinata non si può dove non sappiamo davvero cosa mangiare. Vi dovessi dire cosa abbiamo preso proprio non ci riesco, ho un’amnesia, però ricordo benissimo cosa ha ordinato lui: una ciotola colma di varie radici grigiastre lessate. Mentre si compiace per la scelta salutare, ci chiede se siamo curiose di sapere qualcosa su di lui. Che gli diciamo di no? Quando è il nostro turno, ci fa molte domande, certune al limite del troppo personale, ma in Giappone usa così. Riconsiderando la sua scelta ci sorge il dubbio che non possa spendere. Che ci abbia portate qui calcolando di doverci offrire la cena? Invece non esita a farsela offrire. Nel rispetto delle regole, al momento di congedarci gli porgiamo il regalo che abbiamo portato per ringraziarlo della sua disponibilità. Anche lui lo apre immediatamente incuriosito: è una guida di Firenze in giapponese e la apprezza moltissimo. Torniamo in Hotel, lesse come le sue radici.
10° giorno, Kyoto – Inari (treno locale per Inari)
Al Grand Bach non si può scendere per la colazione indossando le Yukata, peccato, c’eravamo abituate… La colazione è misurata e bilanciata da uno Chef. Su un’alzata a più ripiani sono riposti: un bicchierino di yogurt con granola; un mini flan di soia; una fetta di arancia, una di kiwi, una di pompelmo; una ciotolina con un uovo accompagnato da un quarto di fetta di pane; tre bicchierini con un mescolume di pezzettini di salmone affumicato, avocado, mango, funghi, carne in salsa balsamica; una tazzina di brodo e un bicchierino mignon di succo di mango. A buffet però possiamo prendere frutta, pane, mini brioche, tè, caffè e cappuccino.
Dove andiamo oggi? Al Santuario Shintoista Fushimi Inari Taisha, uno dei luoghi più rappresentativi del Giappone! Dalla stazione principale di Kyoto prendiamo il treno locale per Inari. All’ingresso viene fornita una mappa per girare nell’area del tempio. Il percorso dei famosi Torii arancioni risale la collina per alcuni km. Sui Torii ci sono delle scritte e, come tutti, anche noi vorremmo farci la foto perfetta ma, vuoi per il riflesso del sole e per la gente sempre nel mezzo, non riusciamo a farcene una decente. Dopo una serie di tentativi lasciamo perdere e ci godiamo la sua bellezza ringraziando il cielo per la giornata soleggiata che si presta proprio alla suggestiva passeggiata. E scusate se ci faccio caso ma è la quarta o quinta rima in questo diario, va così!
Il sentiero porta a decine di templi minori con le volpi di pietra Kitsune, con il bavaglio rosso, che rappresentano i sacri messaggeri di Inari, Dio dell’agricoltura, in particolare del riso. La sala da tè presente lungo il percorso è chiusa, peccato perché affacciata sul panorama sottostante sarebbe stata una sosta piacevole. Tornate giù troviamo una serie di bancarelle dove vendono i Dango, spiedini di palline di riso bianche e verdi (al tè macha sicuramente) ma lasciamo perdere.
Pranziamo in paese in un piccolo bar con un buon piatto di riso e per dessert assaggiamo dei mochi ricoperti di sesamo dal cuore caldo, non male. Per digerire beviamo una tazza di tè in un posticino dove tre signore attempate stanno cucinando. Non spiccicano mezza parola d’inglese ma ci mostrano cosa stanno facendo e ci invitano a restare tutto il tempo che vogliamo. C’è da dire che a gesti i giapponesi comunicano bene quanto noi.
Seppur per un tragitto breve, per recarci al Tempio Buddista Zen Tofuku-Ji sperimentiamo il taxi. La particolarità del taxi giapponese è che ha le portiere che si aprono e richiudono da sole – anzi, guai a manovrarle – e, come su qualsiasi mezzo di trasporto, il conducente indossa la divisa e i guanti bianchi. Al Tofuku-Ji non si possono fare foto e tutto sommato va bene così perché perderemmo il piacere di guardare soltanto con gli occhi, in assoluto le migliori fotocamere per cogliere la magnificenza di questo luogo. Dopo aver tolto le scarpe – da mettere in un sacchetto fornito dall’organizzazione come sempre perfetta – si sale una scala e si accede alla grande sala del Tempio situata al secondo piano. Nell’ampia sala, buia e misteriosa, aleggia una forte aura di spiritualità. Gli interni sono interamente di legno, il soffitto decorato è sorretto da due colossali colonne dalla cui sommità partono cinque travi a raggiera. Sedici statue di monaci buddisti, seduti ai lati della statua del grande Buddha, inducono al raccoglimento. La riproduzione degli occhi di uno dei monaci è particolarmente impressionante, sembra guardarti nella mente e nell’anima. Dopo aver abituato gli occhi all’oscurità, trascorso un certo lasso di tempo in contemplazione, torniamo giù. Il Tofuku-Ji è uno dei Templi più belli che abbiamo visto finora e resteremo dello stesso parere anche al termine del viaggio.
Per concludere la giornata in bellezza andiamo al Tempio del Padiglione d’Oro Kinkaku-Ji, Patrimonio dell’Umanità. Al calar del sole, immerso nel piccolo lago, ci abbaglia in tutta la sua aurea seduzione e perfezione. I giardini circostanti sembrano disegnati, non c’è una foglia fuori posto e per la nostra gioia qualche albero si è tinto di rosso.
E’ l’ora della nostra dose quotidiana di shopping. In un negozio di scampoli vengo intervistata in inglese dagli operatori di una tv locale che vuole sapere chi sono, da dove vengo, come mai sto comprando della stoffa giapponese e che uso ne farò a casa. Che strana intervista.. Compro anche un paio di Adidas perché le due paia di scarpe che ho portato sono pesanti e ho bisogno di qualcosa di leggero. D’altronde, fino al giorno della partenza, le previsioni del tempo erano di freddo e pioggia. Invece – alla faccia di chi gufa – tranne mezza giornata a Tokyo, c’è sempre stato un bel sole. Info tax free: oltre una certa cifra la tax free è applicata automaticamente quando paghi il conto, meglio di così! Rientrate alla base andiamo a farci un bagno alla Spa dell’albergo poi andiamo a cena.
11° giorno, Kyoto
Scendendo a fare colazione controlliamo il tabellone del Momijigari constatando che purtroppo è invariato, il culmine arriverà fra diversi giorni. Ce ne faremo una ragione ma possiamo comunque ritenerci favorite dalla sorte, il sole splende anche oggi. Prima di uscire spediamo i due trolley supplementari all’albergo di Tokyo, così cosa fatta capo ha.
Ci sarebbe da starci a lungo a Kyoto ma i giorni sono quelli che sono e dobbiamo fare delle scelte per non correre come pazze in stile bomba libera tutti. Il mio motto è sempre stato “preferisco vedere meno ma meglio” e Susy lo sposa in pieno. Perciò oggi la nostra scelta ricade sul Nijo Castle, ovvero il Palazzo Ninomaru, Patrimonio dell’Umanità.
Prendiamo l’autobus. Una corsa Flat Fare adulto costa 230 yen e noi la paghiamo utilizzando la Carta Suica. Ad una fermata assistiamo al cambio dell’autista. L’autista uscente fa un inchino verso il posto di guida, poi verso i passeggeri, ritira il proprio cartellino, scende, scambia un inchino con l’autista che prende il suo posto, costui sale sul bus, inserisce il proprio cartellino, fa un inchino ai passeggeri, un altro al sedile del mezzo in quanto posto di lavoro e parte. Siamo senza parole.
Sul largo marciapiede che circonda il Castello riviviamo la scena del film Quo Vado? quando Checco Zalone frena bruscamente con la macchina perché qualcuno ha gettato una carta per strada e lascia basiti i genitori. Come se avessi gli ABS ai piedi, mi arresto all’improvviso. Susy mi guarda interrogativamente. Charlie, che è successo? Raccolgo un biglietto d’ingresso, gettato o caduto inavvertitamente per terra, e mostrandoglielo rammento la scena e la battuta del film sull’inciviltà di certa gente. Scoppiamo a ridere, in soli dieci giorni siamo diventate così civili!! C’è da dire che per strada non ci sono come da noi i cestini per i rifiuti, devi conservarli e smaltirli a casa, o in albergo, oppure nei contenitori presenti nei Konbini Store (supermercatini molto diffusi aperti H 24).
Nel cortile del Castello vengo accerchiata da una scolaresca che timidamente mi chiede di essere intervistata. Ma certo, ciao! konnichiwa, ormai ci sto prendendo gusto. Nel loro inglese scolastico, più che buono, mi chiedono il paese di provenienza, perché sono in Giappone, se mi piace… Noooo.. qui è tutto uno schifo, il vostro è un paese dove non voglio più rimettere piede, è tutto così brutto, lasciato andare e sporco! Ve lo immaginate a dare una risposta del genere! Ahhhahha! Naturalmente e senza sforzo manifesto tutto il mio apprezzamento. Arigato gozaimasu…
Al bellissimo Nijo-Jo Castle si accede varcando il portale d’ingresso Kara-mon Gate che è un’apoteosi di intarsi e raffinatezza. Come al solito si entra scalzi. Le scarpe devono essere depositate in una stanza dedicata. Attendiamo che parta una visita guidata ed entriamo all’interno del Palazzo passando da un ambiente all’altro camminando sui rinomati pavimenti dell’usignolo che scricchiolano al nostro passaggio. Le pareti delle ampie camere, che possiamo ammirare senza entrarvi, sono rivestite da grandiosi pannelli scorrevoli dipinti che rappresentano animali esotici, scene di caccia, foreste di bambù, giardini fioriti. L’insieme è stupendo, regale e carico di storia. Recuperate le scarpe facciamo una sosta al bar prendendo una coppa gelato esagerata al gusto tè macha, con castagne, fagioli azuki, mochi e altre cose insapori ma esteticamente belle e perfette. Concludiamo la visita nel Ninomaru Garden, i giardini del Castello, godendoci la pace, il silenzio e l’incanto dei laghetti e delle piante. Una cosa che non ho detto fin’ora è che nei Templi, nei Castelli e nei Musei c’è sempre un tampone inchiostrato con uno o più timbri per un ricordo da inserire nel proprio quaderno o su un pezzo di carta; ci è capitato di trovarlo anche nel primo albergo a Tokyo. Ovviamente io ho timbrato tutto il quaderno degli appunti, come una bambina piccina, adoro queste cosine giapponesi!
Con l’autobus ci trasferiamo a Pontocho dove percorriamo tutta la via Pontocho-dori con le sue basse case di legno, le botteghe e i ristorantini. Molti di questi sono chiusi perché sono quasi le tre, ma troviamo aperto un posticino per pranzare con un buon Ramen da Kyoto Ramen Muraji. Ripassiamo da Gion per immergerci nella sua particolare atmosfera curiosando infine andiamo all’apertura serale del Tempio Toji e della sua pagoda a cinque piani Goju-no-to che illuminata è davvero spettacolare. E anche questa è stata una giornata davvero eccezionale, non ci resta che concluderla con un bagno termale in albergo. Ah… il nostro albergo… così bello e profumato…
12° giorno, Kyoto – Nara (treno rapido JR Nara Line per Nara)
Sul treno JR – quello Rapid, non il Local che fa tutte le fermate – notiamo che, oltre a girare i sedili nel senso di marcia, l’addetto cambia le pubblicità da quelle del luogo di arrivo a quelle di destinazione. L’accuratezza è davvero maniacale.
Da Kyoto si arriva a Nara in poco meno di un’ora. I cervi, venerati perché considerati messaggeri delle divinità, non temono il contatto con l’uomo e sono ovunque: nel parco, per strada, all’ingresso dei templi e intorno ai baracchini che vendono i loro biscotti. Ne sono molto ghiotti, tant’è che fanno dei veri e propri appostamenti oppure ficcanasano col muso negli zaini, anche alle spalle. Non a caso ci sono i cartelli che allertano i visitatori perché i cervi possono strattonare, spintonare, rincorrere e incornare le persone. Però mostrandogli la mano con i biscotti fanno ripetutamente l’inchino col capo ringraziando. Troppo simpatici!
Il Todai-Ji Temple ci entusiasma subito. Già l’architettura del cortile è notevole ma quella del tempio è davvero stupenda. Al suo interno c’è un Buddha dalle dimensioni stratosferiche, talmente sovrastante che non puoi non percepire il suo messaggio di pace e amore. Il Tempio è veramente smisurato, lo esploriamo in lungo e in largo poi ci soffermiamo a guardare i souvenir, in particolare gli omamori, sacchettini di stoffa che contengono le preghiere da appendere come Charm alla borsa o in macchina per amore, salute, studio, lavoro, successo, prolungamento della vita, sicurezza nel traffico e chi più ne ha più ne metta. Sono generalmente in vendita in tutti i Templi e per un pensierino da portare a casa sono perfetti. Attenzione: non devono essere aperti, altrimenti il desiderio non si avvererà.
Ma non vi è sorta una domanda spontanea? Come mai non vi ho ancora parlato di sushi? Perché a Susy non piace, di conseguenza abbiamo sempre mangiato altre cose. Anche perché i ristoranti non hanno di tutto, generalmente servono una tipologia di cibo. Oggi abbiamo trovato un compromesso: io prenderò il sushi e Susy una tempura di gamberi. Da Izasa-Nakatani-hompo Yumekaze-hiroba – link https://www.izasa.co.jp/shop/todaiji-new.html – c’è da aspettare ma ne vale la pena. Già le scatoline di legno disposte a incastro dentro una scatola più grande sono carine da morire ma il contenuto è veramente eccezionale. Non manca il corredo di ciotoline con il brodino, le verdurine, le fettine di zenzero e un quadratino bianco molliccio con sopra una punta di rafano.
Nei ristoranti di Kyoto e dintorni abbiamo notato un’idea geniale: sotto al tavolo sono collocate delle ceste in cui è possibile riporre la propria borsa senza doverla appoggiare per terra.
Soddisfatte, ci rechiamo a visitare i Giardini Isuien, una vera poesia. Passeggiando al loro interno – ammirando la consueta perfezione Zen, i fiori di ciliegio tardivi (non sapevo che esistesse anche una varietà autunnale), gli alberi multicolore, i ponticelli, i sassi in sequenza per il camminamento e i laghetti con le carpe rosse koi, simbolo di perseveranza, coraggio e fortuna – siamo felici come Heidi fra i monti.. le “carpette” ti fanno ciao! Ahh hhha hha!
E’ bello viaggiare con questi ritmi lenti, ma non troppo!
Vogliamo vedere anche il Kasuga Taisha, il grande Santuario Shintoista, situato all’interno di una foresta con centinaia di alte lanterne di cemento che ne costeggiano i sentieri. Un luogo di pace che dev’essere un vero spettacolo quando le accendono.
Sul treno di ritorno facciamo un pisolino, perfettamente adeguate al costume locale. Andando a cena facciamo due passi nelle strade moderne di Kyoto illuminate dai neon. Come sempre siamo leggermente fuori orario ma anche stasera troviamo un locale che ci ispira e che merita di essere segnalato per la carne di Kobe. Sopra ogni tavolo del Yakiniku & Wine c’è un braciere e una cappa aspirante. L’ordinazione si fa elettronicamente scorrendo una specie di tablet incastonato nella parete. Scegliamo due differenti qualità di carne, Black Wagyu Beef e Calbi Beef, saporita e che si scioglie in bocca. Arrostirla da soli sulla propria griglia è inoltre divertente.
13° giorno, Kyoto – Tokyo (Shinkansen Hikari)
Siamo quasi giunte alla fine del viaggio e la malinconia già ci assale.
Alla stazione di Kyoto compriamo dei sandwich per il viaggio con la Carta Suica per finire il credito. Osservando le vetrine ci meravigliamo, come il primo giorno, per l’inventiva e la minuziosità dei dolci: ci sono i cioccolatini a forma di tempio, i biscotti leopardati, le caramelle a forma di foglia e di fiore, ovviamente autunnali, c’è il pesce che nuota dentro un cubetto trasparente. Sono dei capolavori, mai approssimativi. Lo Shinkansen arriva spaccando il minuto, i passeggeri salgono ordinatamente solo dopo che sono scesi quelli in arrivo, l’impeccabile Capotreno in uniforme e con i guanti bianchi è pronto a fischiare. Ciao Kyoto….
Giunte alla stazione “Tokyo” di Tokyo prendiamo la Yamanote Line per scendere a Kandi, la prima fermata verso nord, in un quartiere molto diverso da quello precedente. Molliamo i bagagli all’Hotel Unizo Inn Kandaeky-West per tornare svelte alla stazione. Obiettivo: andare alla stazione Shimbashi per prendere la Yurikamome Line, il treno automatizzato, senza conducente, diretto all’isola artificiale di Odaiba nella baia di Tokyo.
Eh sì, con solo mezzo pomeriggio disponibile è impossibile vedere Tokyo quindi optiamo per qualcosa di completamente diverso. Vogliamo vedere l’Epson TeamLab Borderless Digital Art Museum per un’esperienza multisensoriale. E’ particolarissimo, immenso e con un percorso al buio che ti catapulta in un’altra dimensione, anzi più di una. Puoi stare sotto una cascata d’acqua scrosciante o in mezzo ad una fioritura che esplode, sorseggiare un tè in cui sbocciano fiori che fluttuano e si volatilizzano, oppure osservare le evoluzioni delle balene nel mare, immergerti in un acquario disegnato dai bambini, attraversare una stanza dalle pareti a specchio con centinaia di lanterne che cambiano colore. Bellissimo!!! Link https://borderless.teamlab.art/ – La fila da fare è piuttosto lunga ma scorrevole e dentro c’è spazio per tutti. Ve lo stra-consiglio!
Per tornare alla realtà facciamo un giretto dentro al vicino centro commerciale in stile Las Vegas poi rientriamo a Kandy, che abbiamo scelto per il costo e la vicinanza alla stazione da cui parte il Narita Express dovendo domani avviarci presto per l’aeroporto. Oggi è venerdì e il quartiere è invaso da uomini d’affari, ancora vestiti con l’abito da lavoro, che hanno evidentemente terminato la propria settimana lavorativa. Sono tutti super allegri e prendono d’assalto le birrerie. Giovani ragazze in costume da cameriera schiamazzano davanti ai Maid Cafe attirando i clienti. Questa atmosfera non l’avevamo ancora vissuta. Cerchiamo un posto dove mangiare passandone in rassegna diversi, ma non ce ne ispira uno; addirittura scappiamo via da un paio di locali dopo aver visionato il menù. Siamo frastornate, ci sembra anche di continuare a girare in tondo, forse siamo stremate dall’intensa giornata, forse ci sentiamo giunte al capolinea. E se fuggissimo da questa bolgia delirante per cenare comodamente nel ristorante sotto l’albergo? E’ italiano ma chi se ne importa! Pasta Fresca si rivela un’ottima scelta, sia per la qualità del cibo che per l’ambiente rilassante, almeno poi si va a dormire e buonanotte!
14° giorno, Tokyo – aeroporto (Narita Express)
Colazione – Kanda Station – Tokyo Station – NARITA EXPRESS – aeroporto.
Si torna a casa…
Arrivederci meraviglioso Giappone,
Arigato gozaimasu
Info utili per un viaggio in Giappone e curiosità
Per la preparazione vera e propria del viaggio abbiamo valutato dove andare e cosa vedere per sfruttare al meglio i giorni a disposizione. Ci siamo lette l’impossibile: guide turistiche e diversi racconti di viaggio, ma un sito davvero utile che vi consiglio di consultare è www.marcotogni.it perché contiene una miniera di informazioni. Beh, ora ci sarà anche il mio diario.
Cosa abbiamo prenotato:
VOLO: abbiamo optato per un volo diretto per evitare il viaggio della speranza prenotandolo presso l’agenzia Argonauta Viaggi Il Magnifico di Firenze.
JAPAN RAIL PASS: voucher di diversa durata (7/14/21 giorni consecutivi) acquistato presso la suddetta agenzia che lo ha ricevuto e ce l’ha consegnato.
NB Il voucher JR Pass si può comprare solo fuori dal Giappone.
POCKET WI-FI: altro voucher, prenotato per comodità sempre in agenzia.
ALLOGGI: abbiamo prenotato tutto tramite Booking; non dimenticate di controllare i mq della stanza, avere un po’ di spazio può contribuire alla piacevolezza del soggiorno.
Comunque in Giappone funziona tutto talmente bene che probabilmente si può anche improvvisare ma l’organizzazione aiuta a non sprecare tempo ed energie. Pertanto abbiamo pianificato con attenzione anche i trasferimenti.
JAPAN RAIL PASS
Il JR Pass può essere ritirato in vari uffici JR; noi l’abbiamo ritirato all’aeroporto Narita per utilizzarlo subito andando in città col Narita Express. In questo caso, fate la vostra prima fila al Travel Service Centre JR con compostezza aiutati da una gentile assistente che vi darà un modulo da compilare. Quando è il vostro turno presentate il voucher, il passaporto e comunicate la data di attivazione. Per pochi yen vi suggerisco di acquistare anche il pratico porta pass col laccetto.
Il pass non può essere riemesso in Giappone, per nessun motivo, quindi occhio a non perderlo!
Il pass va mostrato al personale nei gabbiotti in prossimità dei tornelli prima di oltrepassare.
Il JR Pass può essere utilizzato sul Narita Express, sui treni Shinkansen e Limited Express, sulle Linee convenzionali per tutte le compagnie JR, sui traghetti JR, sul traghetto Miyajima Ferry. A Tokyo vale anche per prendere la Yamanote Line (quella circolare), la JR Chuo Line (che taglia la città a metà), la Tokyo Monorail (monorotaia per Odaiba).
Vale inoltre sul JR Nara Express per andare a Fushimi Inari da Kyoto, sulla JR Kyoto Line (treni per andare da un capo all’altro della città), sulla JR Sagano Line per Arashiyama da Kyoto. Vale anche su tutti i bus locali della JR (ad esempio a Kyoto) tranne i bus express.
Con il JR Pass NON si possono prendere: i treni super express Nozomi e Mizuho per le linee dello Shinkansen Tokaido e Sanyo, la Linea della metropolitana, le Linee private non JR. La metro Tokyo Subway Trains NON è compresa (ma si può pagare con la carta SUICA o PASMO).
La prenotazione del posto è gratuita (compresa nel pass) e si può modificare una sola volta fino al momento della partenza sempre gratuitamente. Per questo motivo conviene fare le prenotazioni Basta andare in una qualsiasi stazione e richiederle alla biglietteria JR. Non è richiesta la prenotazione per le carrozze con posti non riservati (solo alcune carrozze sono non-reserved) e sui treni locali (Local e Rapid) e le linee JR cittadine. Abbiamo sempre riservato posti sulle carrozze di 2° classe. Per un viaggio come il nostro le prenotazioni fondamentali sono TOKYO-KANAZAWA, TAKAYAMA – KYOTO, KYOTO – TOKYO, ma abbiamo prenotato tutto il prenotabile. Se si perde il treno prenotato si può comunque salire su un altro treno.
In Italia ci siamo preparate controllando percorsi ed orari sul fondamentale sito Hyperdia.com http:/ grace.hyperdia.com/cgi-english/hyperWeb.cgi del quale potete scaricare la app. Ho letto da qualche parte però che oltre un certo numero di accessi diventa a pagamento. Tanto vale accedere al sito senza app e consultarlo con il vostro Pocket Wifi mentre siete in viaggio. Su Hyperdia.com è scritto tutto: orari, binari di partenza ed arrivo, durata del viaggio, se ci vuole la prenotazione. Controllate bene il tempo di percorrenza, per lo stesso tragitto a volte cambia notevolmente.
Come usare il sito Hyperdia.com: inserire la STAZIONE di partenza e quella di arrivo (NB la stazione, le grandi città ne hanno più di una, compare un menù a tendina), impostare data e orario, selezionare MORE OPTIONS e de-selezionare NOZOMI/MIZUHO/PRIVATE RAILWAY, impostare il prezzo BASIC FARE (ORDINARY CLASS) + RESERVED SEAT.
Dall’aeroporto Narita per Tokyo abbiamo preso il NARITA EXPRESS (compreso nel JR Pass). Dal T2 il treno con destinazione IKEBURO fa le seguenti fermate >TOKYO (attenzione è il nome di una stazione) >SHINAGAWA >SHIBUYA >SHINJUKU mentre quello con destinazione SHINJUKU ferma a TOKYO >SHIBUIA >SHINJUKU.
Nelle stazioni è tutto segnalato, anche dove fare la coda. Pensate a qualsiasi cosa, poi guardatevi attorno e scoprirete che è scritto da qualche parte. Sui tabelloni è sempre indicato a quale fermata siete, il nome della fermata precedente e quella successiva. E’ davvero facile capire.
Ovunque andiate e specialmente nelle stazioni ci sono i Coin Lockers, gli armadietti per lasciare le cose in modo da muoversi senza impicci. Sono tantissimi, intere stanze. Noi non li abbiamo mai utilizzati per il timore di non riuscire a ritrovare l’ubicazione dell’armadietto!
Il POCKET WIFI è un piccolo router molto utile. Vi siete persi? Volete conoscere la storia di ciò che state vistando? Siete in un posto e a vista non c’è un ristorante? Difficile.. in Giappone si mangia dappertutto.. magari vi serve tradurre il menù. Gli utilizzi sono infiniti.. L’importante è richiedere un pocket wifi con un certo numero di GB. Allo sportello ve lo accendono e vi mostrano come funziona. Noi lo abbiamo ritirato e riconsegnato in aeroporto.
Sempre in aeroporto abbiamo acquistato anche la CARTA SUICA. E’ valida 28 giorni a partire dalla data di acquisto, se si perde non può essere riemessa e se resta del credito non viene rimborsato. La carta è comoda per prelevare acqua e altre strane bevande dai distributori automatici, per bere un caffè o altri acquisti nei bar convenzionati e per pagare il biglietto sui mezzi pubblici che l’accettano. La carta SUICA può essere utilizzata sui bus e sulla metro di Tokyo e Kyoto. E’ richiesto un deposito di 500 yen + la ricarica (5000 yen sono bastati). Per ricaricarla ci sono le biglietterie automatiche, inserendo la carta si visualizzano il saldo e gli importi che si possono ricaricare, premere sull’importo desiderato e inserire i soldi (max 20mila yen). Si può restituire per riavere il deposito ma per quello che costa e il tempo della trafila conviene tenerla come souvenir.
Non ho ancora finito… è impossibile scrivere un diario giapponese minimalista!
Denaro: la cosa più pratica da fare è portarsi un congruo quantitativo di yen in contanti, noi abbiamo acquistato in Banca l’equivalente di 500,00 euro e per due settimane sono stati sufficienti. Per prelevare utilizzate gli ATM dei Konbini. In molti posti si può pagare con la carta di credito. La mancia non va mai data, è addirittura offensiva.
Controllate gli eventuali giorni di chiusura e gli orari dei siti che intendete visitare per non avere sorprese.
Ricordatevi di indossare calzini senza buchi perché spesso si devono togliere le scarpe.
Portate le vostre medicine e un adattatore per la corrente.
Sul tavolo dei ristoranti non manca mai l’acqua col ghiaccio e la salvietta umidificata per lavarsi le mani (Oshibori) da conservare perché i tovaglioli non esistono.
I Bento sono dei fantastici contenitori di cibo già pronti, tipo lunch box. Nelle stazioni sono sempre presenti.
Starnutire e soffiarsi il naso sono il massimo della maleducazione. Sui mezzi pubblici è poco educato anche parlare ad alta voce o addirittura ridere ed è buona norma indossare una mascherina sul viso, specialmente se hai il raffreddore.
Nel caso abbiate dei tatuaggi ricordatevi di verificare se potete entrare negli onsen (centri termali). In fase di prenotazione dell’albergo controllate le note. Naturalmente poi dipende dall’estensione del tatuaggio, se è piccolino copritelo con un cerotto.
Se siete fumatori dovete cercare gli appositi spazi dove è consentito fumare, per strada è vietato.
Gli ascensori degli hotel giapponesi prevedono quasi sempre di dover appoggiare la tessera magnetica al sensore, operazione che ti porta automaticamente al piano desiderato, altrimenti funzionano appoggiando la tessera premendo il numero del piano contemporaneamente. A volte in ascensore i giapponesi non salutano ma quando scendi al piano una vocina registrata ringrazia sempre con un delicato Arigato gozaimasu…
La differenza tra un Santuario Shintoista e un Tempio Buddista? Davanti al Santuario Shintoista c’è sempre un Torii (porta di legno, solitamente colorato) che demarca l’ingresso sul suolo sacro e subito dopo l’ingresso si trova una vasca per lavare le mani e la bocca per purificarsi prima di pregare. I Templi Buddisti hanno un portale monumentale d’ingresso e sono spesso circondati da una struttura più complessa.
La straordinarietà di questo paese ce l’ho impressa negli occhi e quando mi sento dire “mah.. non mi ispira..” rispondo che anch’io non l’avevo considerato, ma leggendo Memorie di una Geisha mi è scattato qualcosa, l’ho inserito nella lista dei paesi da vedere, l’ho trovato diverso da tutti quelli che ho visto e l’ho amato alla follia. Non vedo l’ora di tornarci!!!
A proposito di letture ecco le mie:
Memorie di una Geisha, Arthur Golden
Kafka sulla spiaggia, Murakami
Gai-Jin Lo straniero, James Clavell
Musashi, Yoshikawa
I love Tokyo, La Pina
Autostop con Budhha, Will Ferguson
Giorni giapponesi, Angela Terzani Staude
Giappone, Paul Norbury
Giappomania, Marco Reggiani
Ora che ci sono stata li rileggerò senza dubbio con altri occhi.
Per finire: cosa mi manca di più del Giappone?
L’efficienza dei trasporti, il tè macha e… la seggetta riscaldata del wc!
I love Japan
Charlie